In una guerra ci sono sempre dei vincitori accertati e che sanno del loro futuro esaltante ancor prima che scoppi la guerra. Si tratta del “complesso industriale militare”, considerato che secondo l’ultimo rapporto del Sipri di Stoccolma (Istituto internazionale di ricerche sulla pace), pubblicato il 24 aprile 2023, la spesa militare mondiale è cresciuta nel 2022 fino al massimo storico di 2.240 miliardi di dollari. L’aumento di gran lunga più marcato della spesa (+13%) è stato registrato in Europa. Per la prima volta gli investimenti europei hanno superato quelli dei tempi della Guerra fredda. Le 15 maggiori aziende mondiali per la difesa hanno visto un aumento ordini a quota 777 miliardi di dollari, oltre 76 in più rispetto a due anni prima. Per non citare la pingue crescita in Borsa delle industrie militari in seguito alle decisioni internazionali prese nei contesti bellici.
Così leggiamo anche nel recente rapporto “Finanza per la guerra. Finanza per la pace”, presentato dalla Global Alliance for Banking on Values , l’alleanza mondiale di 71 banche “etiche”, per le quali gli istituti bancari non possono «voltarsi dall’altra parte» e professarsi «semplici intermediari di denaro», ma possono invece essere «agenti critici del cambiamento». Il 2023 ha registrato un nuovo record di spese per la difesa: a livello globale sono stati spesi 2.240 miliardi di dollari, pari al 2,2 per cento del Pil mondiale, con un aumento del 9% sul dato precedente. La tendenza ha subito un’accelerazione con lo scoppio delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente. Pensare che una fregata multiruolo europea vale lo stipendio di 10.662 medici all’anno (media dei paesi Ocse) o un caccia F-35 equivale a 3.244 posti letto di terapia intensiva dovrebbe indurci a riflettere se davvero produce convenienza investire sconsideratamente in armamenti. Quello che emerge ancora più scandalosamente e in modo inaccettabile e’ che se i guadagni arrivano ai colossi delle armi il prezzo di un conflitto lo paga il resto della società, ma soprattutto i piú inermi. I cittadini dei Paesi martoriati dagli scontri sono ovviamente i primi colpiti, ma soprattutto bambini, donne, anziani, minoranze, poveri, disabili piú esposti perché con meno risorse, pagano un prezzo tragicamente più alto. Ma perdite indirette, dai danni ambientali alle conseguenze sul commercio globale ricadono a cascata anche su quanti risiedono a grandi distanze dal lugubre scenario bellico. Non esistono guerre giuste, ce lo ricorda spesso Papa Francesco che ha anche esortato a perseguire una politica di disarmo, poiché è ingannevole pensare che gli armamenti possano avere un valore deterrente. Il 21 febbraio e’ stato approvato al Senato e ora sarà in discussione alla Camera dei Deputati il Disegno di Legge di iniziativa governativa che modifica in modo sostanziale peggiorandola la normativa italiana sull’esportazione di armi. La Rete Italiana Pace e Disarmo ha messo in evidenza il proposito conclamato dell’esecutivo di indebolire il controllo sulle vendite all’estero di armi a seguito della spinta di alcuni gruppi di potere e pressione legati all’industria militare. Così pure Acli, Azione Cattolica, Associazione Papa Giovanni XXIII, Movimento dei Focolari, Pax Christi, Agesci, Libera, Federazione Chiese evangeliche hanno sottoscritto un appello al Parlamento per salvare la legge del 1990 che regolamenta le esportazioni di armi. Convinti che non esiste una guerra giusta ma solo una pace giusta.