Per il consueto numero domenicale della rubrica “Spiccioli di spiritualità”, diretta dal prof. Pasquale Vitale, il prof. Michele Pugliese ci parla del Concilio di Nicea di cui quest’anno ricorrono i 1700 anni.
In che cosa credono i cristiani? Certo in Gesù Cristo, che questi è il Figlio di Dio, che è nato da Maria Vergine e così via. Ma esiste una formula chiara e precisa di tutto quello in cui credono? La risposta è affermativa ed essa consiste in quella lunga proclamazione che si fa durante tutte le messe domenicali e festive, che genericamente chiamiamo ‘Credo’ e che più precisamente si chiama ‘Simbolo Niceno-Costantinopolitano’, la cui prima formulazione fu effettuata a Nicea, antica città romana della Turchia (oggi Iznik) nel 325 d.C., per cui in questo anno si celebrano i 1700 anni da questo fondamentale consesso.
Era la prima volta che i vescovi cristiani si riunivano insieme per prendere importanti decisioni. Convocato dall’imperatore Costantino I, a soli dodici anni dall’Editto di Milano che aveva garantito la libertà di culto, questo sinodo riunì vescovi provenienti da tutto l’Impero Romano e oltre, con l’obiettivo cruciale di ristabilire l’unità dottrinale, messa in seria discussione da un certo Ario di Alessandria, il quale sosteneva che Gesù Cristo non era della stessa sostanza (natura) del Padre, in pratica non era Dio, pur essendo la prima e più perfetta delle creature. Questa dottrina minacciava le fondamenta della fede cristiana sulla divinità di Cristo e sul concetto stesso di salvezza, perché per la maggior parte dei cristiani, solo un essere pienamente divino poteva ‘connettere’ l’umanità al Padre e offrire una redenzione completa e definitiva dal peccato. Se Cristo non era Dio, ma solo una creatura (sebbene la più elevata), il suo sacrificio e la sua mediazione non sarebbero stati sufficienti a salvare l’umanità, riducendo l’Incarnazione a un gesto di alta carità ma non di salvezza divina.
L’imperatore Costantino, sebbene non ancora battezzato, riconobbe l’importanza di questa faccenda e di una Chiesa unita per la stabilità del suo vasto impero e intervenne direttamente, convocando l’assemblea nel palazzo imperiale. Dopo accesi dibattiti, che videro il vescovo Atanasio di Alessandria come strenuo difensore dell’ortodossia, il Concilio si pronunciò in modo definitivo, condannando l’arianesimo e stabilendo i capisaldi della dottrina nella stesura di una professione di fede che oggi chiamiamo ‘Credo’. Il testo, con la successiva integrazione del Concilio di Costantinopoli del 381, è lo stesso recitato ancora oggi in molte liturgie.
Il punto centrale e innovativo fu l’introduzione del termine greco ‘homooùsion’, che significa ‘della stessa sostanza’ o ‘consustanziale’ al Padre. Con questa formula, il Concilio sancì che Gesù Cristo non è una creatura subordinata, ma pienamente Dio, della stessa natura del Padre, ‘generato’, non creato, della stessa sostanza del Padre. La creazione avviene ex nihilo, cioè dal niente, la generazione avviene da qualcosa che già c’è. Quindi se Gesù è venuto dal niente è stato creato (come l’universo, il mondo, gli uomini), ma se è stato generato vuol dire che in lui c’è la stessa sostanza del generatore, quindi di Dio, e quindi è Dio.
Un’altra questione cruciale risolta in quel Concilio fu quella relativa al calcolo della data della Pasqua, che a quel tempo ogni comunità cristiana computava a modo suo. Il Concilio stabilì un principio unitario che vale ancora oggi, almeno per i cattolici: la Pasqua doveva essere celebrata ovunque nella domenica successiva al primo plenilunio di primavera, distaccandosi così dal calcolo della Pasqua ebraica che invece era celebrata al tramonto del giorno 14 del mese di Nisan del calendario ebraico (tra marzo e aprile), come prescrive la Bibbia, ma che raramente coincide col il calcolo dei cristiani.
Il Concilio emanò anche 20 canoni per disciplinare la vita ecclesiale, toccando argomenti come l’ordinazione dei chierici, la questione dei ‘lapsi’ (coloro che avevano rinnegato la fede durante le persecuzioni e volevano essere riammessi nella comunità cristiana) e l’autorità di alcune sedi episcopali, riconoscendo una preminenza speciale a quelle di Roma, Alessandria e Antiochia.
Riguardo alla questione principale però il Concilio di Nicea non risolse immediatamente la controversia ariana (che continuò a dividere la Chiesa per decenni), ma stabilì un metodo (appunto il concilio ecumenico, cioè la riunione collegiale dei vescovi) che avrebbero guidato il futuro della Chiesa.
Ancora oggi, a quasi 1700 anni di distanza, il Simbolo Niceno-Costantinopolitano è un elemento di unità e di identificazione per gran parte della cristianità, rendendo il Concilio di Nicea un faro imprescindibile nella storia della fede. E di questo dobbiamo essere grati a quei padri conciliari che 1700 anni fa si riunirono per definire con esattezza quello che i cristiani debbono credere.