Per il servizio idrico della Provincia casertana lo scorso 27 agosto alcuni amministratori che rispondono a gruppi di potere nella gestione opaca di enti come l’Eic (Ente idrico campano), soggetto di governo dell’ATO regionale, hanno approvato due delibere capitali. La prima trasforma una società di capitale interamente pubblica, l’ITL S.p.a., appena costituita nell’ottobre del 2022 per gestire il servizio idrico di 33 dei 104 comuni della provincia, su proposta del Consiglio di distretto di Caserta, in una società “mista” con capitale pubblico/privato. La proposta di delibera veniva fatta in violazione delle norme statutarie della stessa ITL appena approvate: l’art. 14 prevede espressamente che le modifiche statutarie vengano approvate dall’assemblea straordinaria della stessa società e non certo dal consiglio di distretto, le cui delibere sono approvate successivamente dal comitato esecutivo dell’EIC.
Il 20 settembre alle 17,30 presso Casa Stefano Tonziello a Capodrise l’Alleanza per l’acqua pubblica propone un’assemblea aperta a cittadini, associazioni,comitati, amministratori, forze sindacali e politiche per contrastare la privatizzazione del servizio idrico provinciale. Una futura società a capitale misto (55% pubblico – 45% privato) come gestore del servizio di distretto sarebbe una società a stringente controllo privato per i seguenti motivi:
• La percentuale pubblica (55%) è frazionata tra i vari comuni, quella privata (45%) espressa da un solo soggetto. Quindi basta un accordo tra il socio privato e alcuni comuni per raggiungere la maggioranza(TAR e Corte dei Conti hanno più volte ribadito che il frazionamento delle quote pubbliche non consente lo “stringente controllo pubblico delle società miste”]
• Il socio privato di minoranza ha diritto di nominare l’Amministratore Delegato e il Direttore Generale
• Il socio privato ha sempre diritto di veto. L’art. 9 dei Patti Parasociali prevede che per quasi tutte le decisioni è necessario il voto favorevole del privato.
Il referendum sull’acqua pubblica nel giugno 2011 vide una grande mobilitazione della società civile e portò ad un risultato straordinario: quasi 27 milioni di cittadini votarono contro il profitto nella gestione dell’acqua raggiungendo il quorum del 54% e il 94% dei sì. Tuttavia gli anni che sono seguiti hanno proposto un pervicace programma, di entrambi gli schieramenti politici, in contrasto all’attuazione del referendum. Affossate le poche proposte di legge, presentate da parlamentari coraggiosi, che puntavano a dare un seguito alla volontà referendaria, si continua a favorire legislativamente la privatizzazione del servizio idrico, ed a limitare ed ostacolare sempre più quelle poche “forme di gestione veramente pubbliche” che pure hanno rappresentato realtà virtuose, come l’ABC di Napoli. E del resto i risultati della gestione delle cosiddette “società miste”, con la maggioranza della componente pubblica nell’assetto societario, non sono brillanti o in linea con l’efficienza più volte propagandata quale mito della gestione dei privati. Se nei primi 8 anni post referendum ci è stato un aumento del 90 % delle tariffe idriche, a fronte di un icremento del 15 % del costo della vita (dati CGIA Veneto), tra il 2010 d il 2016 dai bilanci delle 4 grandi multiutility quotate in borsa (A2a, Acea, Hera ed Iren) si nota che sono diminuiti gli investimenti nella manutenzione ed aumentati della stessa misura i profitti dei privati investitori delle stesse società.
L’aumento delle tariffe deciso contestualmente nella stessa seduta del 27 agosto prelude ad una progressiva e inarrestabile garanzia di profitto per il privato che verrà, senza garanzia di reali investimenti in un settore pubblico che ne richiederebbe molti per marcati ritardi strutturali.
Il caso di Itl Spa, ex Consorzio idrico, e’ noto senza dubbio come pessimo esempio di gestione, ma non per questo risulta credibile la superiorità della gestione mista o privata rispetto a quella pubblica.
La gestione dell’acqua dovrà essere totalmente pubblica, secondo un modello virtuoso controllato dai consumatori, improntato a criteri di efficienza, assenza di sprechi, redistribuzione degli utili in investimenti per la ristrutturazione delle condutture, bassi importi delle bollette, massima trasparenza dei bilanci e solidarietà nei confronti delle fasce sociali più deboli.