Nuove frontiere nella cura del disturbo bipolare, un disturbo dell’umore subdolo che porta chi ne soffre a periodi di depressione, accompagnata spesso da ansia, a periodi di euforia, eccitabilità, impulsività. Un disturbo che ha radici genetiche ed ereditarie, e che vede l’alterazione nei circuiti cerebrali che regolano l’umore e le più importanti funzioni biologiche come l’appetito, il sonno, ecc. Queste alterazioni riguardano alcuni neurotrasmettitori come la serotonina, la noradrenalina e la dopamina. Attualmente le terapie farmacologiche riescono a tenere sotto controllo il disturbo, consentendo un normale stile di vita, tuttavia sono frequenti le ricadute dovute a fattori di stress oltre a un riscontro maggiore di farmaco-resistenza. Come funzionerebbe questo nuovo tipo di terapia a base di spray nasale? Si tratta di nanoparticelle d’oro che arrivano al cervello attraverso tale spray. L’idea, pubblicata sulla rivista Advanced Materials ed oggetto di brevetto in Italia e nel mondo, deriva da uno studio condotto da ricercatori della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica e della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs, in collaborazione con l’Università di Salerno. Le nanoparticelle d’oro sono caricate di litio, farmaco di prima scelta già utilizzato ampiamente per il disturbo bipolare, ma con svariati effetti collaterali dovuti alla formulazione orale. Il team di ricerca ha dimostrato, invece, che è possibile inibire direttamente nel cervello l’attività di un enzima che svolge un ruolo chiave nello sviluppo delle suddette malattie (la Glicogeno Sintasi Chinasi-3 beta, GSK-3β) mediante litio veicolato da nanoparticelle d’oro.
somministrate per via intranasale. Una volta che gli aggregati di nanoparticelle entrano nelle cellule, questi vengono disgregati e il litio viene scaricato dentro le cellule, consentendo di ottenere concentrazioni terapeutiche efficaci a fronte di basse dosi di somministrazione. In questo modo, si eviterebbero i gravosi e numerosi effetti collaterali che, spesso, portano il paziente a mettere da parte il litio come terapia.