ROMA
Dall’economia lineare a quella circolare, l’Unione europea inverte la rotta. Il pacchetto UE sull’economia circolare.
ROMA – Il modello di economia lineare, che dalle materie prime realizza prodotti che una volta consumati producono rifiuti, non è più sostenibile – oggi usiamo una volta e mezzo le risorse che il pianeta è in grado di rigenerare – e si è rivelato una della principali cause di inquinamento ambientale. Invertire la rotta è possibile e, soprattutto, ineludibile. Le risorse limitate, la crescita demografica, la richiesta crescente di materie prime, spesso importate da paesi politicamente instabili, impongono il passaggio all’economia circolare. Con le nuove norme approvate lo scorso aprile dal Parlamento europeo, che gli stati membri dovranno recepire entro due anni, la Ue investe questa direzione. Ogni anno, nell’Unione si generano complessivamente 2,5 miliardi di tonnellate di rifiuti (circa 5 tonnellate pro capite), il 10% dei quali è costituito da rifiuti urbani. E dai rifiuti urbani prendono l’avvio le direttive per il cambiamento che Strasburgo ha approvato a larga maggioranza. L’approvazione da parte del Parlamento europeo delle norme sulla gestione dei rifiuti apre la strada alla transizione verso il nuovo modello economico, di “chiusura del cerchio”. Grandi sono le opportunità e importanti sfide per gli stati membri che hanno due anni di tempo per recepire le direttive. Alcuni contributi dalla rivista Ecoscienza 3/2018. Il 18 aprile scorso, il Parlamento europeo riunito in sessione plenaria a Strasburgo ha approvato a larghissima maggioranza (580 sì su 661 votanti) il pacchetto sull’economia circolare. Le nuove norme aggiornano i testi delle direttive su riciclo dei rifiuti solidi urbani, imballaggi, rifiuti da batterie, componenti elettriche ed elettroniche e infine discariche. I principi base sono: in primo luogo, prevenire la creazione dei rifiuti, riparare e riciclare i prodotti; infine, recupero energetico attraverso i termovalorizzatori. Il conferimento in discarica è l’extrema ratio: entro il 2035 non dovrà superare il 10% del totale dei rifiuti. Tutti gli stati membri hanno due anni di tempo per recepire la direttiva quadro, che prevede di riciclare almeno il 55% dei rifiuti urbani domestici e commerciali entro il 2025, per arrivare al 60% nel 2030 e al 65% nel 2035. L’obiettivo per gli imballaggi è di riciclarne il 65% entro il 2025, per arrivare al 70% entro il 2030, con percentuali specifiche per i diversi materiali. In linea con gli obiettivi Onu per lo Sviluppo sostenibile, il pacchetto prevede anche la riduzione degli sprechi alimentari: -30% entro il 2025 e -50% entro il 2030. In un articolo su Ecoscienza 3/2018, Rita Michelon illustra in dettaglio le misure previste, mettendo in luce le opportunità e le sfide proposte, mentre Elisa Bonazzi, sempre di Arpa e, fornisce alcune indicazioni tecniche su come misurare lo sviluppo e l’economia circolare, utilizzando la metrica data dalla contabilità ambientale. Simona Bonafè, eurodeputata, membro della Commissione ambiente, sanità pubblica e sicurezza alimentare (Envi), competente per le politiche ambientali e lo sviluppo sostenibile livello europeo, relatrice ufficiale al Parlamento europeo delle direttive sull’economia circolare, in un articolo su Ecoscienza n. 3/18 illustra le novità del pacchetto. L’articolo su Ecoscienza n. 3/18 di Piernicola Pedicini
, eurodeputato del M5S, relatore ombra del pacchetto economia circolare, che spiega i motivi del voto favorevole della delegazione italiana M5S. Il contesto richiede interventi forti, tuttavia si tratta di un miglioramento da cui partire per lavorare ulteriormente. “Come delegazione italiana M5S sin dall’inizio abbiamo sostenuto gran parte del pacchetto, che dobbiamo ricordare si occupa solo di rifiuti municipali, cioè solo del 10% dei rifiuti totali. La maggior parte dei rifiuti è di natura commerciale, industriale, da demolizione e costruzioni. Le condizioni di oggi sono paletti per lavorare domani su altri settori, ma volevamo molto di più. Per noi occorreva da subito l’eliminazione dei sussidi alle fonti fossili, circa 5 mila miliardi di euro nel mondo, in Italia 14 miliardi ogni anno, più di quanto si spende in sanità. Alimentare il circuito delle fonti fossili è la negazione dell’economia circolare. Da loro deriva la plastica, una plastica compostabile costa tre volte di più proprio perché grazie ai sussidi la plastica tradizionale costa meno. Senza questa presa di posizione di contesto, otteniamo solo palliativi, senza questi provvedimenti si può avere solo un timido miglioramento per una situazione che richiede interventi forti, tuttavia il nostro voto è stato favorevole perché comunque miglioreremo. Abbiamo una revisione di vecchie direttive. Volevamo che alcuni target fossero vincolanti. Avremmo voluto bandire l’incenerimento, anch’esso negazione dell’economia circolare. Il riuso è la vera fonte economica: con 1.000 t di rifiuti riutilizzati si producono 80 posti di lavoro. Volevamo l’introduzione obbligatoria del sistema del vuoto a rendere. Volevamo l’obiettivo vincolante di riduzione dei rifiuti alimentari e di preparazione al riuso degli imballaggi. Abbiamo spinto per il rafforzamento della gerarchia dei rifiuti. Ad esempio, se si prendono gli scarti dell’industria del legno la Norvegia propone di bruciarli perché la loro esigenza è riscaldarsi, per loro diventano una risorsa energetica, noi possiamo aiutare l’industria dei divani che li può usare per i telai. In questo caso quale soluzione privilegiare? Quella che non produce emissioni. Fra i miglioramenti, si rafforza il concetto di responsabilità estesa del produttore, attraverso cui i produttori saranno incentivati a progettare le cose in maniera tale da ridurre i rifiuti e dovranno partecipare ai costi di smaltimento dei loro prodotti. Chi controllerà ciò che sarà vincolante, anche con deroghe (ad esempio, per gli stati che conferiscono in discarica più del 60% è prevista una deroga di 5 anni) sarà la Commissione. Il Parlamento ha il ruolo di segnalatore, non di controllore. I commissari hanno l’obbligo di intervenire presso i governi e le istituzioni locali. Piernicola Pedicini, Europarlamentare Movimento 5 Stelle”.