Profetessa, visionaria, musicista, scrittrice, guaritrice, scienziata, psicologa, filosofa, badessa e – cosa inaudita per i suoi tempi – predicatrice e consigliera politica. Una delle menti più poliedriche e influenti del Medioevo, un’autentica ‘donna universale’ il cui pensiero e le cui opere continuano a esercitare un profondo fascino. Tutto questo fu Santa Idelgarda di Bingen, una delle donne più straordinarie e più influenti del Medioevo, che la Chiesa ricorda con la memoria liturgica il 17 settembre.
Nata in una famiglia nobile nel feudo di Bermersheim (Germania sud-occidentale), Ildegarda fu affidata all’età di otto anni a Jutta di Sponheim, una mistica religiosa che la istruì presso il monastero benedettino di Disibodenberg. Qui, fin dalla tenera età, manifestò un’eccezionale sensibilità spirituale, accompagnata da quelle che lei stessa definì ‘visioni celesti’, esperienze mistiche intense e vivide, in cui la ‘luce vivente’ le rivelava verità profonde sulla natura divina, sulla creazione e sul destino dell’umanità.
Già all’età di quattordici anni la sua fama di santità aveva attirato nei pressi della sua umile residenza un alto numero di giovani religiose, trasformando la sua cella e le aree limitrofe in una sorta di piccolo convento benedettino femminile.
Dopo la morte della sua insegnante Jutta, nel 1136 Idelgarda venne eletta come badessa della parte femminile del monastero e, ormai prossima ai quarant’anni, decise di iniziare a parlare e a scrivere le sue visioni, attirando l’attenzione delle autorità ecclesiastiche. Fu perciò sottoposta al controllo di una commissione nominata dal vescovo di Verdun, che riconobbe come autentiche le visioni, le quali ricevettero anche l’approvazione di papa Eugenio III che lesse alcuni dei suoi scritti durante il sinodo di Treviri del 1147, conferendo alla santa un’autorità indiscussa ed aiutandola anche a superare le perplessità dei monaci di Disibodenberg, poco inclini ad accettare che una religiosa potesse predicare attivamente in pubblico, anziché restare confinata tra le mura di un monastero.
Per Idelgarda il termine ‘visione’ non indica una percezione sensoriale di un evento o un contenuto, piuttosto un processo intuitivo, uno ‘sguardo’ rivolto dentro di sé capace di vedere oltre la superficie degli eventi. Scrive infatti nella sua opera ‘Scivias’, (Conosci le vie del Signore): “Attraverso le cose temporali si manifestano quelle che sono invisibili ed eterne. Lo Spirito Santo si è fatto fuoco e calore, cioè principio e animatore della vita fisica, ma anche ragione – Logos – e radice di tutto quello che vive in natura. Di qui la presenza di Dio nelle cose create, nella natura considerata la grande ‘teofania di Dio’, cioè la manifestazione del Dio trascendente”
La stesura del libro si concluse nel 1151 e subito ottenne l’approvazione papale. Sostegno importante per l’originalità del contenuto che si sarebbe potuto prestare a più di una opposizione ed anche perché era fortemente polemico verso la vita politica ed ecclesiastica del tempo.
Negli anni successivi l’attività di Idelgarda si intensificò anche fuori dal monastero con molti viaggi e scambi epistolari con Bernardo di Chiaravalle, i papi Eugenio III, Anastasio IV, Alessandro IV, ma anche con gli imperatori Enrico II d’Inghilterra, Corrado III, Federico Barbarossa, con il quale si incontrò e a cui scrisse poi rimproverandolo di aver nominato un antipapa, Pasquale III, contro il legittimo pontefice Alessandro, con impressionante realismo: “Ti stai comportando come un bambino, anzi come un pazzo… sta’ attento a comportarti in modo che la Grazia di Dio non si allontani da te”. E tutto, sorprendentemente, senza perdere la rispettosa stima del sovrano.
Nei suoi soggiorni presso le abazie o sedi vescovili predicava al popolo (strano che oggi nella chiesa cattolica le donne non possano predicare) anche contro quella parte del clero che metteva in crisi la Chiesa, cosa del tutto eccezionale per una donna.
Idelgarda fu anche ‘editrice’ delle sue opere: a Rupertsberg impiantò un scriptorium che divenne un’efficiente officina di copiatura in miniatura. Nel frattempo proseguiva la sua intensissima attività di organizzatrice, scienziata, guaritrice e anche musicista. Compose molte musiche in onore di Dio e dei santi, tutte opere ancora oggi presenti nei cataloghi dell’industria discografica (su You Tube, c’è una bella trasposizione di Angelo Branduardi delle sue musiche). Compose anche per il teatro la prima rappresentazione sacra che si conosca. Fu famosa anche come guaritrice (medico, diremmo oggi), basandosi naturalmente sulle conoscenze del tempo.
Lasciò la vita terrena nel 1179. Nel 2012, Papa Benedetto XVI l’ha proclamata Dottore della Chiesa, riconoscendo ufficialmente la sua immensa statura teologica e il suo contributo al pensiero cristiano.
Ildegarda di Bingen rimane una figura di straordinaria attualità. La sua visione di un’umanità in armonia con la natura e con il divino, il suo coraggio nel denunciare l’ingiustizia e la sua profonda spiritualità sono un messaggio potente che trascende il tempo e le culture. La santa ci lascia l’insegnamento che la vera saggezza non si trova solo nei libri o nelle istituzioni, ma anche nell’ascolto interiore, nella contemplazione della bellezza del creato e nella ricerca di un equilibrio tra corpo, mente e spirito.
