Per il consueto numero domenicale della rubrica “Spiccioli di spiritualità” diretta dal prof. P. Vitale, il prof. Michele Pugliese ci parla di Sant’Anna e e San Gioacchino. Questo è l’ultimo numero prima della pausa estiva, la rubrica riprenderà, infatti, dal mese di settembre.
La festa di sant’Anna si celebra a Caserta il 26 luglio con una solenne celebrazione liturgica nel Santuario a lei dedicato. Il nome di Anna è molto diffuso, meno quello di Giacchino, il suo sposo, che la memoria liturgica associa in un’unica celebrazione. Molte sono anche le località italiane che portano il nome di sant’Anna e molte sono anche le persone che portano questo nome.
È noto che Gioacchino e Anna siano stati i genitori della Beata Vergine Maria, ma forse non tutti sanno che i Vangeli canonici, ossia quelli ufficialmente approvati dalla Chiesa, non fanno cenno alcuno ad essi. E allora, da quali fonti provengono le storie di questi due santi? Dalla cosiddetta “letteratura apocrifa”, cioè quella serie di scritti che nacquero dopo la stesura dei quattro vangeli, per soddisfare la curiosità dei primi cristiani desiderosi di conoscere aspetti dei personaggi dei Vangeli e anche di Gesù, non menzionati negli scritti canonici. Le storie di questi scritti sono spesso fantasiose e leggendarie, ma sarebbe un errore non prenderli in considerazione, perché contengono molte storie che hanno plasmato la vita e le credenze del popolo cristiano e ne hanno scandito le feste e la ritualità.
Troviamo le notizie sulla vita di Anna e Gioacchino nell’apocrifo “Protovangelo di Giacomo”, scritto non oltre la metà del II secolo, dove la nostra storia comincia presentandoci il sacerdote betlemita Mathan (il nonno di Gesù) il quale aveva tre figlie – Maria, Sobe e Anna – belle e buone. Le prime due sposarono due bravi giovani di Betlemme, di modeste condizioni economiche. La terza, Anna invece sposò un uomo della Galilea, di nome Gioacchino, colto, affascinante e immensamente ricco.
I due si amavano profondamente. Si racconta che anche dopo tanti anni il cuore di Anna accelerava i battiti quando sentiva i passi che ne annunciavano il ritorno a casa, come avviene anche nelle coppie di oggi, ma forse per altri motivi. Malgrado questo grande amore, nella loro vita c’era un vuoto incolmabile: non avevano figli. Dio li aveva riempiti di ogni dono materiale, ma gli aveva negato la gioia più grande.
Passavano gli anni e il sogno di maternità di Anna piano piano svaniva. Il Protovangelo di Giacomo ci racconta che un giorno Gioacchino, ormai anziano, si recò al Tempio per portare come sempre le sue generose offerte, ma quella volta il sacerdote le rifiutò, perché a suo dire egli non aveva una discendenza (bisogna dire che a quel tempo in Israele non avere figli era un vero e proprio stigma sociale, una maledizione del Signore che puniva forse le persone anche per presunti peccati commessi). Per Gioacchino fu come prendere uno schiaffo in faccia: la sua reputazione era stata umiliata e pubblicamente condannata. Fu un momento di sconforto così profondo che, sconvolto, non ebbe il coraggio di tornare a casa e si ritirò sui monti, in un esilio volontario, supplicando per quaranta giorni e quaranta notti l’aiuto di Dio, fra preghiere e digiuni. Da parte sua Anna, che già soffriva da sempre la sua condizione di sterilità, si raccolse anch’essa in preghiera nella sua casa, fra preghiere e digiuni, chiedendo al Signore di esaudire il suo desiderio di avere un figlio. Trascorsi i quaranta giorni – continua la narrazione apocrifa – un angelo apparve prima a Gioacchino, e poi ad Anna, annunciando che le loro preghiere erano state esaudite e che avrebbero avuto una figlia, della quale tutto il mondo avrebbe parlato. I coniugi allora, lasciarono il loro ritiro di preghiera e mossero l’uno incontro all’altro per darsi vicendevolmente la lieta notizia. Rimasta incinta e trascorsi i nove mesi, Anna partorì una figlia a cui fu imposto il nome di Maria, che significa “prediletta dal Signore”.
Così Gioacchino poté far ritorno al Tempio, insieme ad Anna e alla sua figlioletta, portando la sua lauta offerta di dieci agnelli, dodici vitelli e cento capretti senza macchia, indubbiamente una offerta cospicua, a testimonianza della sua grande ricchezza. A tre anni la piccola Maria fu condotta al Tempio per essere consacrata a Dio, secondo la promessa che avevano fatto quando avevano implorato la nascita di un figlio. Qui si interrompe la narrazione apocrifa e da questo momento non si parla più di Gioacchino, mentre di Anna troviamo altri cenni in altri testi – sempre apocrifi – secondo i quali sarebbe vissuta fino all’età di ottant’anni e, se la matematica non è un’opinione, avrebbe assistito anche alla morte del suo nipotino Gesù.
Sebbene i racconti apocrifi non siano attestati in nessun documento storico, ebbero una grande diffusione sin dai primi secoli tra i cristiani che desideravano conoscere meglio gli aspetti lasciati in ombra dalle narrazioni evangeliche, ma il culto vero e proprio si sviluppò in Occidente tardivamente, grazie alle numerose reliquie portate dai crociati. Così da allora furono costruite numerose chiese dedicate ad Anna, e il nome stesso si diffuse tra i cristiani, senza parlare delle numerose raffigurazioni pittoriche come quelle di Giotto e di Leonardo da Vinci. Sant’Anna è poi protettrice delle partorienti e delle donne che desiderano avere un figlio (non esiste clinica di maternità senza una statua dedicata a lei). È anche protettrice delle domestiche ed è invocata per ottenere una buona morte, senza contare che lei e Gioacchino sono anche protettori dei nonni. Anna e Gioacchino, in definitiva, ci offrono un esempio di amore domestico, di tenerezza, di gentilezza e di condivisione. Si sono voluti bene per tutta la vita, e il loro amore si è irradiato sulla amatissima figlia e, tramite Lei, su tutti i credenti che la invocano con cuore sincero.