Il terremoto del 23 novembre 1980 resta una ferita viva per molte comunità campane. La scossa principale, registrata alle 19:34, attraversò l’Irpinia e parte della Campania con una violenza devastante. Case e strade cedettero in pochi secondi, mentre le persone cercavano riparo nel buio. Le immagini di quella sera restano ancora oggi nella memoria: muri crollati, polvere nell’aria, famiglie strette nelle piazze e un silenzio interrotto solo dalle sirene e dalle grida.
Le prime ore dopo la scossa
Le comunicazioni si interruppero subito, mentre i collegamenti stradali risultarono difficili in molte aree rurali. Le persone uscirono in strada per cercare parenti e vicini. La solidarietà divenne immediata e concreta. Chi aveva un generatore lo mise a disposizione, chi aveva coperte le distribuì, chi era illeso aiutò a scavare. In molte zone i soccorsi arrivarono solo dopo ore, spesso rallentati dalle macerie e dal buio.
I comuni più colpiti
Il cuore della devastazione interessò una vasta area dell’Irpinia e dell’alta Valle del Sele. Tra i paesi più colpiti si ricordano Sant’Angelo dei Lombardi, Conza della Campania, Lioni, Teora, Calabritto, Laviano, Senerchia, Caposele e Balvano, dove il crollo della chiesa durante la messa fece numerose vittime. Interi centri abitati riportarono danni gravissimi. Molti di essi furono ricostruiti quasi per intero negli anni successivi.
La ricostruzione: un percorso lungo, complesso e non privo di ombre
La ricostruzione post–1980 fu un processo imponente e controverso. Migliaia di famiglie vissero per anni in prefabbricati o container, spesso ben oltre le previsioni iniziali. Le opere pubbliche avanzarono con lentezza. I ritardi si sommarono a procedure amministrative poco chiare e a decisioni politiche non sempre coerenti con le esigenze dei territori. Accanto ai cantieri che restituirono vita a molti comuni, emersero zone oscure: fondi gestiti in modo disordinato, sprechi, interventi sospesi o conclusi con scarsa qualità. Le inchieste dell’epoca descrissero un quadro complesso, dove la necessità urgente di ricostruire conviveva con distorsioni e inadeguatezze. Nonostante tutto, le comunità dimostrarono una forza straordinaria. La volontà di ripartire, unita alla determinazione di amministratori locali e cittadini, permise a molte realtà di tornare gradualmente alla normalità.
Voci da quella notte
I racconti dei sopravvissuti riportano dettagli che nessun documento ufficiale può restituire: il rombo sordo che precedette la scossa, l’odore di polvere, le urla nel buio, la corsa per mettere in salvo i bambini. Molti ricordano soprattutto l’aiuto reciproco. Persone che non si erano mai parlate collaborarono senza esitazione. La solidarietà diventò la risposta istintiva di interi territori.
Come cambiò la Protezione Civile
Il sisma del 1980 accelerò la nascita di una protezione civile moderna. L’Italia comprese la necessità di strutture permanenti e di procedure chiare per il coordinamento nelle emergenze. Le norme antisismiche furono rafforzate. La prevenzione entrò gradualmente nelle politiche pubbliche e nella cultura dei territori. Da quella tragedia nacque un sistema più consapevole, capace di intervenire con maggiore efficacia.
Il significato del ricordo
Ricordare il 23 novembre 1980 significa restituire dignità alle persone colpite e alle comunità che seppero rialzarsi. È una memoria che invita a non sottovalutare la fragilità del territorio e a riconoscere quanto la solidarietà possa trasformarsi in forza collettiva. Quella notte cambiò la storia di intere province. Oggi rappresenta un monito e, allo stesso tempo, un insegnamento sulla resilienza delle persone.