Nelle prossime ore le lavoratrici e i lavoratori Jabil saranno chiamati a discutere della richiesta di CIGS presentata da TMA praticamente dal momento stesso del suo paventato insediamento presso lo stabilimento di Marcianise.
La nostra organizzazione respinge con fermezza la possibilità di sottoscrivere questo strumento e ritiene doveroso dare contezza a tutte e a tutti delle motivazioni del nostro NO alla CIGS.
Fin dall’inizio abbiamo respinto l’ipotesi che il futuro dello stabilimento potesse essere legato al progetto proposto da TMA, un progetto fragile e privo delle necessarie garanzie industriali. Un progetto che rileva una fabbrica perfettamente operativa e satura e la porta sin da subito a una riduzione complessiva delle sue attività.
È impensabile, per noi, che dopo aver detto unitariamente NO a quel piano oggi si apra la strada a un riconoscimento formale che di fatto legittima la stessa operazione sotto altre forme.
La CIGS per “riorganizzazione” non è uno strumento neutro: per legge serve a sostenere un piano industriale dichiarato funzionale al rilancio produttivo. Firmare significherebbe certificare la bontà di un piano che invece riteniamo inconsistente e pericoloso, perché rischia di accompagnare i lavoratori in una lunga fase di sospensione senza alcuna prospettiva di recupero della totalità degli occupati.
Questa richiesta di CIGS arriva, fra l’altro, ancora prima di conoscere l’esito del paventato ingresso di Invitalia, forse l’unico fievole elemento di garanzia messo sul tavolo.
Sappiamo bene che le istituzioni possono concedere la CIGS anche in assenza di un accordo sindacale: proprio per questo la nostra mancata firma lascia aperti spazi di tutela individuale e collettiva, documentando formalmente che il sindacato non ha ritenuto credibile il piano e impedendo all’azienda di usare un consenso unitario come paravento – anche giuridico – delle proprie scelte.
Forse l’azienda tenterà di rendere più “digeribile” la CIGS, dichiarandosi disponibile ad anticiparla o promettendo incentivi. Ma noi non possiamo accettare che la sopravvivenza di centinaia di famiglie sia messa sul tavolo come merce di scambio per legittimare un’operazione industriale che, ad oggi, non offre alcuna garanzia reale.
Per noi vale una sola regola: non firmare oggi ciò che domani potrebbe chiudere ogni spazio di lotta e di difesa.
USB continuerà a battersi con trasparenza e coerenza, perché questa vertenza merita una soluzione vera e non un accompagnamento lento e doloroso verso la disoccupazione.
La nostra organizzazione oggi deve chiedere al soggetto subentrante un passo indietro: serve tornare al Ministero per garantire la ricerca di un player industriale di comprovata solidità, attraverso un advisor riconosciuto dalle istituzioni.Andiamo avanti, insieme.
Comunicato di USB Lavoro Privato – Categoria Operaia dell’Industria Nazionale