Saggio di Salvatore De Pascale
“Italiani imperfetti” di Nico Pirozzi è il libro da leggere in questi giorni che fanno da incipit alla Giornata della Memoria della Shoah, ricordata ogni anno il 27 gennaio, in occasione dell’anniversario della liberazione del campo di concentramento e sterminio di Auschwitz avvenuto in quel giorno da parte dell’Armata Rossa, scelto come simbolo per ricordare tutte le vittime dell’Olocausto, per riflettere sulle atrocità commesse e per promuovere la consapevolezza e l’impegno contro ogni forma di discriminazione e violenza.
In Italia, la “Giornata” è stata istituita ufficialmente con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 che stabilisce che sia il 27 gennaio la data per “ricordare la Shoah, mentre a livello internazionale, tale data è stata ufficializzata dalle Nazioni Unite nel 2005 con una risoluzione che ha proclamato questo giorno come “Giornata Internazionale della Memoria delle Vittime dell’Olocausto”.
E ieri, 18 gennaio 2025, la Biblioteca comunale di Maddaloni (CE) ha funto in tale direzione da centro della memoria per preservare e tramandare le testimonianze storiche della comunità; e, questo, grazie alla disponibilità del sindaco Dottor Andrea De Filippo che ha voluto restasse aperta, durante il giorno di chiusura, così che potesse diventare come di fatto è diventato, il luogo ideale e simbolico di raccolta e di riflessione su di un passato che non si può e non si deve dimenticare.
Nel suo intervento il Sindaco De Filippo, introdotto dalla moderatrice Emanuela Belcuore, giornalista, dopo aver ricordato come l’autore di “Italiani Imperfetti” sia uno storico con conoscenze di grande spessore e che i ricordi da lui descritti si inseriscono a pieno titolo nelle evidenze di un passato ancora non troppo lontano in cui la Shoah ha interessato, sia pure di riflesso, nella loro significativitàanche le terre maddalonesi, lasciando intendere come a torto la responsabilità fascista e la narrazione storica italiana abbia cercato di rappresentarlo come un movimento che si limitò a seguire i nazisti.
In realtà Mussolini e il suo regime, che poi divenne il mezzo di prevaricazione per eccellenza, attraverso il quale il nostro paese cercò d’essere anch’esso protagonista in un Europa che esisteva solo, forse, fisicamente, furono attori attivi nell’emanare e applicare le leggi razziali del 1938, e conseguentemente nella persecuzione degli ebrei e di altre minoranze. La concezione del bravo italiano con il nostro paese che si è sempre ostinato (e continua ad ostinarsi con talune frange politiche) a rifugiarsi in un’immagine nazionale che enfatizza la bontà e l’umanità degli italiani durante la Seconda Guerra Mondiale, viene meno se non si dimentica d’ignorare la partecipazione italiana attiva e incontrovertibile nella deportazione degli ebrei.
Lo sterminio del popolo ebraico fu possibile proprio grazie alle leggi razziali, ciò che fu il pretesto legale attraverso cui fu portata avanti da parte degli italiani, con tutta la sua nefandezza, la persecuzione a danno dei cittadini ebrei. Erano, e ciò non bisogna mai smettere di ricordarlo, come l’autore Pirozzi ci ha tenuto a dire, italiani come loro, che subirono la deportazione, grazie ad una miope concezione dell’umana convivenza, di cui si fregiavano certi altri italiani, e poi la prigionia e quasi sempre e inevitabile, la morte; come se essere ebrei significasse essere non italiani puri, gente, e non persone, appartenenti ad una razza (1) estranea a quella italiana. Tanto più che in quel periodo storico non ebbero miglior sorte quegli italiani che si opposero al progetto di sterminio, senza dimenticare chi non volle, anche a causa delle deportazioni piegarsi da italiano vero, alle costrizioni del fascismo che durante il “ventennio”, lo ricordo ai più giovani, a chi dichiarava di non essere fascista o che ne criticava le gesta, riservava olio di ricino come deterrente.
Nel libro di Pirozzi si legge la storia di Luciana Pacifici, una bambina di appena otto mesi deportata ad Auschwitz il 30 gennaio 1944 insieme alla sua famiglia che rappresenta uno degli episodi più tragici e significativi delle persecuzioni subite dagli ebrei italiani durante la Seconda Guerra Mondiale. Partendo dalla devastazione dei bombardamenti su Napoli, che costrinsero la famiglia a fuggire, la vicenda si intreccia con le politiche antisemite della Repubblica Sociale Italiana, evidenziando il dramma collettivo di un popolo perseguitato.
Luciana, assieme al cuginetto Paolo Procaccia di appena dodici mesi, ai genitori, agli zii e ai nonni, fu caricata su un convoglio di carri bestiame diretto verso il mattatoio di Auschwitz, da Milano. Nove vite spezzate in un solo viaggio, un’intera famiglia cancellata in nome di una “soluzione finale” che in Italia trovò complici e promotori.
Questa tragedia non è soltanto il racconto di un massacro, ma anche lo specchio di una piccola comunità ebraica, quella napoletana, che per un miracolo del destino evitò di subire completamente il significato lugubre dell’Endlösung der Judenfrage, la soluzione finale della questione ebraica.
Prezioso è stato l’intervento di Maria Pia Lurini, presidente di CDS AMA ODV, organizzazione di volontariato con sede a Maddaloni (CE), attiva dal 2009, sociologa presso l’ASL del distretto di Maddaloni; nota per il suo impegno nella tutela dei diritti sociali e nell’integrazione delle persone di colore sul territorio, si dedica da oltre quarant’anni, nella sua attività al supporto degli ultimi, trasformando iniziative di recupero in gesti concreti di solidarietà. Dalle sue parole si evince quanto sia importante l’educazione dell’intercultura: le sue storie parlano di giovani strappati alla precarietà e all’inganno della strada per promuovere l’inclusione e la solidarietà.
La presenza, del Dottor Giovandomenico Lepore ex Capo della Procura, ha ancor più elevato il significato della serata che nel successivo intervento dell’autore Pirozzi ha colpito e commosso, non con le lacrime, perché sostituite da un’Eggregore (2) che ha tenuta unita l’intera sala emozionatasi più volte.
Nota è stata la preziosa attività in magistratura svolta per il Procuratore Capo della Repubblica Lepore presso il Tribunale di Napoli fino al 2011. Nel corso della sua carriera, ha guidato inchieste di rilievo nazionale, tra cui quella sul clan dei Casalesi, l’emergenza rifiuti a Napoli e lo scandalo Calciopoli. Nato a Napoli, il Dottor Lepore ha dedicato la sua vita professionale al servizio della giustizia, affrontando con determinazione le sfide legate alla criminalità organizzata e alla corruzione. La sua leadership nella Procura partenopea è stata caratterizzata da un impegno costante nel contrasto alle attività illecite che affliggevano la regione Campania.
Dopo il pensionamento, Giandomenico Lepore ha condiviso la sua esperienza e le sue riflessioni attraverso la scrittura. Tra le sue opere, segnalo “Chiamatela pure giustizia (se vi pare)”, scritto in collaborazione proprio con Nico Pirozzi, in cui offre uno sguardo approfondito sul sistema giudiziario italiano e sulle sfide affrontate durante la sua carriera. La sua figura rimane un punto di riferimento nel panorama giudiziario italiano, simbolo di dedizione e integrità nella lotta contro le ingiustizie e le illegalità.
A seguire c’è stato l’intervento di Alfredo Grado, criminologo, psicologo e saggista che ha sottolineato come il libro di Pirozzi possa essere letto da più punti di vista e, quindi, con riguardo sia alla memoria che all’identità.
Grado è noto per i suoi studi sulle organizzazioni criminali di stampo mafioso e per l’analisi di fenomeni sociali cheinfluenzano le relazioni umane. Grado continua oggi a contribuire attivamente al dibattito criminologico e psicologico in Italia.
La parola memoria, più volte citata ieri sera, con aderenza linguistica ed emozionale alla circostanza commemorativa della Giornata, racchiude un significato che va oltre la semplice funzione mnemonica o il ricordo di eventi passati. Essa rappresenta un ponte tra il tempo lineare che scorre fino ai giorni nostri e l’eterno presente (eterno perché ciò che viviamo è il presente) incarnando l’essenza stessa della continuità e della coscienza universale. In questa prospettiva, la memoria, non è solo un deposito di esperienze individuali, ma una dimensione sacra, una sorta di archivio cosmico in cui ogni evento, pensiero e sentimento viene registrato. In molte tradizioni spirituali, la memoria è collegata ai cosiddetti Registri Akashici (3) che rappresentano una memoria universale dell’esistenza,accessibile a chi è in grado di elevarsi oltre i limiti della coscienza ordinaria.
La memoria non è dunque confinata al passato, ma è una forza viva che plasma il presente e orienta il futuro. Non è un mero atto passivo di conservazione, ma un atto creativo. Ricordare non significa solo riportare alla mente un evento, ma farlo rivivere, riattivare la sua energia nel momento presente. In questo senso, la memoria è un atto di alchimia spirituale, capace di trasformare il dolore in saggezza e l’errore in crescita.
E, ancora: nella dimensione spirituale, la memoria è vista come una custode dell’identità dell’anima. Ogni esperienza vissuta, anche quelle dimenticate dalla mente cosciente, rimane così inscritta nella memoria profonda dell’essere, contribuendo al viaggio evolutivo dell’anima. È la trama invisibile che collega ogni incarnazione, ogni lezione appresa, ogni amore dato e ricevuto.
A livello collettivo, la memoria si manifesta negli archetipi, ossia quelle immagini e simboli universali che abitano l’inconscio collettivo e ci uniscono come umanità. Questa memoria ci connette ai cicli eterni della natura, alle tradizioni ancestrali e alla saggezza primordiale. Attraverso di essa, possiamo riscoprire il nostro legame con il divino e con il cosmo.
Infine, la memoria, quand’essa si eleva alla spiritualità, non è statica. È un campo dinamico che ci invita alla trasformazione interiore alla ricerca della pietra filosofale ad attivare il V.I.T.R.I.O.L. (4). Perché ricordare, in tal senso, significa riconnettersi alla propria essenza divina, senza dimenticare chi siamo oltre le illusioni del mondo materiale. È un atto di risveglio, un ritorno alla sorgente da cui tutto ha avuto origine.
In questa prospettiva, la memoria è molto più di un semplice ricordo: è una scintilla divina, l’eco dell’infinito che risuona dentro di noi, che ci guida nel cammino verso la consapevolezza e l’unione con il Tutto. (5).
La memoria dello sterminio degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, non può che essere, in conclusione, un richiamo potente e imprescindibile al significato più profondo della parola stessa, intesa non solo come ricordo di un passato tragico, ma come una forza viva, sacra e trasformativa, capace di guidare l’umanità verso una consapevolezza più alta. Ed è così che la Shoah non rappresenta solo una ferita della storia, ma un monito universale inscritto nella memoria collettiva dell’umanità. Dimenticare significherebbe permettere a quell’energia distruttiva di riemergere sotto nuove forme, perpetuando il ciclo di dolore e sopraffazione. Ricordare, invece, è un atto di responsabilità che ci chiama a custodire e tramandare il significato profondo di quell’orrore, affinché diventi una lezione eterna di rispetto per la vita e per la dignità umana.
E proprio perché la Shoah rappresenta il culmine di un abisso morale e spirituale, un momento in cui l’umanità si è allontanata dalla propria essenza divina, la memoria di quell’abisso diventa, a pieno titolo, il guardiano della consapevolezza, un monito che ci aiuta a riconoscere e a contrastare le forze del male che ancora oggi possono manifestarsi sotto forma di intolleranza, odio e discriminazione. Ricordare la Shoah non può che essere un atto di resistenza contro il pericolo dell’indifferenza, che è l’humus in cui il male prolifera.
Il ricordo della Shoah, abbia, come ogni memoria autentica e profonda, un potere trasformativo che c’inviti a non limitarci a commemorare, ma a trasformare il dolore in consapevolezza e la sofferenza in azione.
Ricordare le vittime della Shoah è un atto che trascende il passato: è una chiamata alla responsabilità presente e futura, affinché i principi di giustizia, uguaglianza e compassione diventino i pilastri su cui costruire una società migliore, un vero e proprio atto di fede nella memoria come forza creatrice, capace di evitare che gli errori si ripetano, di risvegliare le coscienze e di trasformare il dolore in una nuova consapevolezza collettiva. In questo senso, la memoria è la Luce (la Conoscenza) che illumina i sentieri del futuro, un’eredità spirituale che l’umanità ha il dovere di custodire per non perdersi di nuovo nel buio.
Lucia Grimaldi, giornalista, che in appena tre ore ha letto il libro di Pirozzi, come è solita fare, ha divorato anche questo scritto dedicato alla memoria e quindi all’informazione. Ella ce lo presenta come “un libro che tocca l’anima di tutti noi”per una giornata, quella della memoria “che sarà ricordata nelle scuole e con delle cerimonie” come “un qualcosa che non dovrà accadere mai più”. Il riferimento al titolo “Italiani Imperfetti”, Le ha consentito di interrogarsi su cosa si basi e si sostanzi questa imperfezione. E la risposta che lei stessa si prova a dare, diventa possibile invertendo semplicemente il quesito e cioè chi mai possano essere gli italiani perfetti. Del resto come lei stessa dice “la perfezione non è una cosa che ci appartiene”. E quindi chi sono gli italiani perfetti, si chiede nuovamente allargando ulteriormente le possibili risposte, gli ebrei o i non ebrei? Forse “quelli che si sono omologati al regime?”. Pirozzi a questa domanda risponderà nel Suo intervento di cui ho fatto già cenno, e che evidenzia la complicità di italiani non ebrei che hanno disonorato la loro funzione pubblica, politica e istituzionale partecipando indirettamente allo sterminio o direttamente promulgando le leggi razziali. E fa specie che, ancora oggi, il primo comma dell’articolo tre della Costituzione italiana includa ancora la parola “razza”:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Lucia Grimaldi dopo un’ampia ed esauriente trattazione degli ulteriori argomenti trattati nel libro che contiene un album fotografico si chiede se esso vada visto prima di leggere il libro oppure dopo. Personalmente, sono convinto che sia più opportuno vedere prima le foto, per far si che tutti coloro che sono raffigurati in esse, diventino persone di famiglia, nostri cari, e che il dolore della loro scomparsa diventi il nostro dolore perché attraverso il dolore, seppur immaginario, lo sdegno possa alimentarsi e fa si che le parole lette restino scolpite nei nostri cuori.
Note
(1) L’etimologia della parola razza è complessa e dibattuta;si può tracciare una probabile origine attraverso diverse ipotesi linguistiche che oltre a quella di origine germanicache la collegata al termine “reiza”, che significa “linea” o “traccia”, in riferimento a un’origine o a una genealogia, senza considerare vi è quella incredibile ad uso medievale e rinascimentale che l’autore Pirozzi ha indicato durante il suo intervento a Maddaloni in provincia di Caserta, quando laparola cominciò a essere utilizzata nel tardo medioevo e nel rinascimento, principalmente in riferimento alla discendenza animale, per poi estendersi agli esseri umani, connotando i gruppi distinti da tratti culturali o fisici.
(2) Il termine Eggregore deriva dal greco antico egrégoros, che significa “vigile” o “attento”. L‘eggregore nell’accezione che ci interessa è descritta come una forma di energia collettiva creata e alimentata da un gruppo di persone che condividono intenzioni, pensieri e emozioni comuni. Questa energia assume una sorta di “entità” autonoma, che può influenzare i suoi creatori e il contesto in cui agisce.
(3) Così Simona Cillario che in un suo articolo ricorda che “I Registri Akaschici rappresentano la memoria universale, la coscienza cosmica” e che “in sanscrito il termine Akasha significa etere”. E che dunque essi rappresentano “un elevatissimo regno vibrazionale di Luce (Conoscenza) nel quale è contenuta e custodita la memoria dell’intero Universo”.
(4) V.I.T.R.I.O.L. è un acronimo che deriva dall’alchimia e simboleggia un profondo percorso di trasformazione interiore. La sigla sta per: Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem che si traduce: Visita l’interno della terra, e rettificando troverai la pietra nascosta. Questo motto alchemico invita a un viaggio spirituale e simbolico, dove “la terra” rappresenta l’interiorità dell’individuo. “Visitarla” significa esplorare i propri abissi, affrontare le ombre nascoste e le verità sepolte nel profondo della psiche. “Rettificando” si riferisce al processo di purificazione e raffinazione, un lavoro su sé stessi che conduce a una maggiore consapevolezza e armonia. “Occultum lapidem” (la pietra nascosta) è il simbolo del tesoro interiore: la saggezza, la verità o l’essenza divina dell’individuo, spesso identificata nella filosofia alchemica con la Pietra Filosofale. V.I.T.R.I.O.L. è un richiamo universale a intraprendere un cammino di conoscenza e trasformazione, in cui l’alchimia non riguarda solo la materia, ma anche lo spirito. Questo percorso di introspezione rappresenta il tentativo di raggiungere l’illuminazione, superando i limiti imposti dall’ignoranza e dall’ego.
(5) L’unione con il Tutto è il ritorno alla nostra natura essenziale, alla comprensione che ogni separazione è illusoria e quanto l’interconnessione rappresenti la realtà fondamentale dell’esistenza. Questo cammino verso l’unità non è solo un processo spirituale, ma anche un viaggio verso l’armonia con noi stessi, gli altri e l’universo.