ESCLUSIVA. Dopo 20 anni di battaglie legali arriva la sentenza. Condannato il ministero della salute per i danni da EMOTRASFUSIONE INFETTA PRATICATA NEL 1978.

Melito di Napoli – La giustizia italiana, con un ritardo di circa venti anni, ha fatto il suo corso e il  signor D. A., a 47 anni, potrà essere risarcito per un errore di malasanità verificatosi nel 1978, quando l’uomo era poco più che neonato.

La vicenda, che ha dell’incredibile, ce la racconta l’avv. Piervittorio Tione, che ha combattuto questa battaglia legale per i tre gradi di giudizio riuscendo ad ottenere, dopo questo lungo periodo, un risarcimento di quasi 200.000 euro.

Pubblichiamo in esclusiva il racconto delle vicissitudini del signor D.A., delle sue vicissitudini giudiziarie e della conclusione positiva sotto il profilo del risarcimento grazie anche all’abile e minuzioso lavoro dell’avv. Tione che, con costanza e professionalità, è riuscito ad avere giustizia per lui.

Una storia emblematica conclusasi con una sentenza che potrà fare giurisprudenza e dare giustizia ad altri pazienti che sfortunatamente incorrono in questo tipo di problemi.

D.A. nasce nel 1978 a Napoli con una grave forma di anemia. Pochi giorni dopo la nascita, il bambino veniva sottoposto all’Ospedale Pausillipon di Napoli, ad una trasfusione di sangue, che poi si è rivelato infetto. Infatti al malcapitato  nel 1997 veniva diagnosticato il virus dell’epatite C (HCV). Dopo trattamenti sanitari mirati ed un breve periodo di negativizzazione del virus, nel 2004 si è avuta la definitiva positivizzazione al virus dell’epatite C. Ormai un uomo, nel 2008, all’età di 30 anni,  decide di rivolgersi al Tribunale di Napoli per ottenere, giustamente, dal Ministero della Salute, che aveva ed ha precisi compiti di controllo e sorveglianza sulla diffusione delle sacche di sangue e plasma nelle strutture sanitarie del territorio nazionale, il risarcimento del grave danno alla salute subito.
Il Tribunale partenopeo, all’esito di una consulenza medica che ha accertato effettivamente il nesso/legame tra l’emotrasfusione del 1978 e l’insorgenza della patologia epatica, con una pronuncia del 2016 condannava il Ministero della Salute ad un risarcimento di oltre centomilaeuro,00.
Non accettando il verdetto di primo grado, il Dicastero della Salute, nell’impugnare la sentenza di primo grado, si rivolgeva nello stesso anno (2016) alla Corte di Appello di Napoli chiedendo, prima di ogni cosa, di far dichiarare prescritto/estinto il diritto al risarcimento in quanto il signor D.A.di Melito di Napoli, pur avendo avuto nel lontano 1997 la diagnosi di epatite C, avrebbe poi agito per avere il ristoro dei danni solo nel 2008, e cioè undici anni dopo la conoscenza della malattia. E’ noto che per questo tipo di danni, a lungo latenti, il danneggiato ha un termine di cinque anni per poter rivolgersi alla Giustizia, pena l’estinzione del suo diritto.
La Corte di Appello di Napoli, compulsata dal Ministero, riformando la pronuncia del Tribunale di Napoli, con una sentenza del 2019, con grande sorpresa, dichiarava estinto il diritto al risarcimento dello sfortunato D.A. che, pur avendo conoscenza della malattia con la diagnosi del 1997, si sarebbe attivato solo nel 2008 e dunque ben oltre il termine di prescrizione quinquennale previsto per tali tipo di illecito civile.
Il signor D.A., con caparbietà, decise così di rivolgersi, con il patrocinio dell’avvocato Piervittorio Tione, alla Corte di Cassazione a Roma per avere ragione dei suoi diritti.
I Giudici di Piazza Cavour, esaminati gli atti, nel 2021, definitivamente pronunciandosi sul caso, stabilivano, così annullando la sentenza di secondo grado, il seguente principio di diritto: il termine di prescrizione quinquennale per tale tipologia di illeciti civili (cd. danni di lunga latenza) comincia a decorrere non tanto dal momento della diagnosi della patologia, ma dalla conoscenza e/o conoscibilità che il paziente può avere del collegamento che può sussistere tra l’emotrasfusione subita e l’insorgenza dell’epatite.
In altre parole non è sufficiente che il cittadino abbia conoscenza della malattia, ma deve anche potersi rappresentare che tale patologia sia riferibile, sulla base delle indicazioni avute dai medici consultati, alla trasfusione.