Il Napoli è lì, a un passo. L’Inter lo tallona, sotto di un solo punto. Tutto può accadere. Ma Napoli lo sa: prima di ogni previsione, c’è la fede.
La città è in fermento. Dai Quartieri Spagnoli a Capodimonte, dai Decumani fino alla periferia di Capodichino, si respira un’aria densa. Di attesa, di scaramanzia, di speranza.
E proprio lì, al Gran Caffè Veglia, dove il calcio è quasi una religione, Massimo — titolare e tifoso di lungo corso — ci racconta:
«C’è un po’ di tutto oggi. Tensione, speranza. Ma io, la partita, me la preparo come si deve: stesso divano, stesso posto, ogni cosa al suo posto. Raspadori? Magari ci regala la gioia all’ultimo secondo…».
Poi si fa serio: «Il Napoli, per noi, è una fede. Non è spiegabile. Va oltre il calcio».
C’è poi chi non tifa Napoli, ma stasera… lo fa. Come F.C., juventina convinta, che però non ha dubbi:
«Lontanissima dai tifosi interisti. Non condivido né la loro filosofia né la loro politica. Il Napoli? Sì, ci ho fatto il tifo più volte, anche allo stadio. Ogni domenica, praticamente. Stasera ovviamente si spera vinca il Napoli. Non solo per il calcio, ma anche per chi siamo».
La partita si gioca anche qui, tra i marciapiedi, i bar, i balconi addobbati con sciarpe e bandiere. E tra una sfogliatella e un caffè bollente, i napoletani incrociano le dita, toccano ferro, fanno gesti antichi con la mano sinistra e il corno in tasca.
Perché il calcio, a Napoli, è sacro e pagano insieme. È una preghiera urlata, è una scaramanzia silenziosa.
Mancano due ore al fischio d’inizio. Novanta minuti per cambiare tutto.
E Napoli, la città che non si arrende mai, si prepara a sognare. Ancora una volta.
Ma stavolta — chi lo sa — forse non si sveglia più.