Vittoria DEM a New York, nonostante le minacce di sanzioni (?) di Trump. Mamdani ha commentato la cosa dicendo: “Considero le parole di Trump per quelle che sono: minacce“. Alba vittoriosa per lui, scacco anche per Netanyahu: il Primo Ministro israeliano, infatti, aveva annunciato che gli israeliani non sarebbero più andati a New York in caso di sua vittoria.
Chi è e perché fa tanta paura Mamdani?
Il Sindaco è musulmano, innanzitutto, quindi assolutamente sgradito a Trump, xenofobo, razzista e suprematista bianco.
E’ anche di origine ugandese, naturalizzato cittadino statunitense solo sette anni fa: altra onta per Trump.
Figlio di un docente universitario presso la Columbia University, Mamdani è non solo progressista dichiarato, ma di più: è un socialista, iscritto al movimento Democratic Socialists of America dal 2016. Il male assoluto per Trump, in altre parole.
Tra l’altro, è convinto sostenitore della Palestina: da studente universitario, infatti, è stato tra i fondatori della sezione locale del movimento Students for Justice in Palestine.
Come riporta La Stampa, nel programma elettorale di Mamdani sono presenti l’aumento delle tasse per i più ricchi e una politica per un “housing” (edilizia residenziale a canoni calmierati) newyorkese più accessibile. In precedenza ha sostenuto, come riporta Wikipedia, “una riforma del diritto all’abitare, della polizia e delle prigioni e sostenendo la municipalizzazione dei servizi pubblici“.
Su Thread e X è un tripudio di commenti festanti da parte di molti statunitensi che sottolineano come Mamdani non sia stato sponsorizzato da alcuna lobby del petrolio e come la sua vittoria sia scaturita da un’altissima percentuale di votanti.
Il giovane Sindaco, 34 anni, sarà una spina nel fianco non indifferente per il Presidente e ne vedremo delle belle.
Le prime dichiarazioni:
Le prime dichiarazioni non lasciano ombra di dubbio, fornendo una vera e propria lezione di civiltà:
“In questo momento di oscurità politica, New York sarà la luce. Qui crediamo nel difendere coloro che amiamo, che tu sia un immigrato, un membro della comunità trans, una delle tante donne nere che Donald Trump ha licenziato da un incarico federale, una madre single che aspetta ancora che il costo della spesa scenda, o chiunque altro si trovi con le spalle al muro. La tua lotta è anche la nostra.
(..)
Vogliono che la gente si scontri, in modo da distrarci dal lavoro di ricostruzione di un sistema ormai in rovina. Ci rifiutiamo di lasciare che siano loro a dettare ulteriormente le regole del gioco. Possono giocare secondo le stesse regole del resto di noi.
Insieme, daremo inizio a una generazione di cambiamento. E se abbracciamo questo nuovo corso coraggioso, invece di rifuggirlo, potremo rispondere all’oligarchia e all’autoritarismo con la forza che temono, non con l’appeasement che bramano.
Dopotutto, se c’è qualcuno che può mostrare a una nazione tradita da Donald Trump come sconfiggerlo, è proprio la città che lo ha generato. E se c’è un modo per terrorizzare un despota, è smantellare le condizioni stesse che gli hanno permesso di accumulare potere.
Non è solo così che fermeremo Trump; è così che fermeremo anche il prossimo.
Quindi, Donald Trump, visto che so che mi stai guardando, ho quattro parole per te: alza il volume.
Chiederemo conto ai proprietari di casa infedeli, perché i Donald Trump della nostra città si sono abituati fin troppo bene ad approfittarsi dei loro inquilini. Porremo fine alla cultura della corruzione che ha permesso a miliardari come Trump di evadere le tasse e sfruttare le agevolazioni fiscali. Staremo al fianco dei sindacati e amplieremo le tutele del lavoro perché sappiamo, proprio come Donald Trump, che quando i lavoratori godono di diritti incrollabili, i datori di lavoro che cercano di estorcerli diventano davvero molto piccoli.
New York rimarrà una città di immigrati: una città costruita da immigrati, alimentata da immigrati e, da stasera, guidata da un immigrato.
Quindi ascoltami, Presidente Trump, quando dico questo: per arrivare a uno qualsiasi di noi, dovrai passare attraverso tutti noi. Quando entreremo in Municipio tra 58 giorni, le aspettative saranno alte. Le soddisferemo. Un grande newyorkese una volta disse che mentre si fa campagna elettorale in poesia, si governa in prosa.
Se questo deve essere vero, che la prosa che scriviamo continui a essere in rima e che costruiamo una città splendente per tutti. E dobbiamo tracciare un nuovo percorso, audace quanto quello che abbiamo già percorso. Dopotutto, la saggezza convenzionale vi direbbe che sono ben lungi dall’essere il candidato perfetto.
Sono giovane, nonostante i miei sforzi per invecchiare. Sono musulmano. Sono un socialista democratico. E, cosa più grave, mi rifiuto di scusarmi per questo“.
La prima reazione internazionale, intanto, non si è fatta attendere: Israele sta considerando di chiudere il proprio Consolato a New York.