A cura di Michele Letizia
Valerio Cappelli
Lo chiamano Codice unico dello Spettacolo, e la parte preponderante riguarda le Fondazioni liriche, che verranno ridenominate Gran teatri d’opera.
Michele Letizia
Come sta succedendo in tutta Europa, da anni anche l’Italia (colonia inglese dal giorno 8 settembre 1943, Cassibile docet), riceve diktat dal Regno Unito da mettere al tavolo, e anche questa volta la fantasia degli Spin Doctors (nostalgica di un certo e storico “regime”) dopo la raffica dei Decreti, sicurezza, lavoro, appalti e altri, ci presentano uno studio UNI sul mondo della Lirico Sinfonica italiana, e lo chiamano CODE, codice!
Sarebbe già da dialogare al tavolo la scelta descrittiva del termine CODICE, più che al senso libertario di PARTECIPAZIONE (ricordando Giorgio Gaber) ci lascia pensare a quello di ORDINE e DISCIPLINA, sulla falsa scia del codice etico comportamentale.
Valerio Cappelli
Una riforma destinata a provocare cambiamenti strutturali drastici (ma Scala e Accademia di Santa Cecilia mantengono le loro autonomie). L’iter sarà lungo: l’intenzione è di presentare il codice in Parlamento a fine gennaio, in tempo per l’approvazione entro il 31 dicembre 2026. Per com’è formulato, i teatri lirici verranno completamente risucchiati dalla politica, molto più di quanto sia avvenuto finora: di fatto, dipenderanno dai partiti che comandano.
Michele Letizia
La riforma a cui guardare non dovrebbe diventare drastica in quanto gli argomenti contenuti nella già menzionata proposta Codice sono tanti. E’ vero che le fondazioni Teatro Alla Scala (Milano) e Accademia di Santa Cecilia (Roma) resterebbero in piedi in modo iperstatico ed è anche vero che un pensiero volante, di corridoio scenico, nel febbraio 2020 (durante il prepotente Momento Covid) lasciava edificare l’idea di un Insieme (l’unione fa la forza) di fondazioni lirico sinfoniche (che nella normale produttività da tempo manifestavano e manifestano appetito di fondi ma restavano e restano comunque Magre al cospetto delle altre Autonome) ma è anche vero che tali proposte potrebberodivenire realtà, una realtà studiata con i Cervelli Giusti! E personalmente non vedo strumentalizzazioni politiche in relazione alla Bandiera di turno (La politica corre verso il denaro e di solito la politica diventa politicizzazione perché sono le lobby a decidere.) ma annuso bollenti tavoli al fine di un distinto lavoro, e in corso d’opera proverò a spiegare il perché di questa mia Visione.
Il clima, non da oggi, è di una nuova “narrazione” imposta in tutti i settori di cultura e spettacolo, secondo una logica nazionalista e autarchica. Tradotto per le Fondazioni liriche: via le sperimentazioni, avanti con la tradizione. C’è, in chi detiene le leve del potere, un forte senso di appartenenza: si piazzano gli amici nei posti chiave, impera la logica del “con noi o contro di noi”.
Michele Letizia
Solo Tradizione?
Sbagliato sarebbe eclissare le Sperimentazioni; il Teatro è come l’Architettura, manifesta al presente l’evoluzione tra Storia e Antropologia di una comunità!
Altrettanto sbagliato sarebbe annaffiare l’alberello del Nepotismo!
Valerio Cappelli
Cristiano Chiarot è tra i pochi disposti a parlare. È stato sovrintendente alla Fenice dal 2010 al 2018 (ma a Venezia lavorava già dal 1980), e per un breve periodo al Maggio Fiorentino. Ha pubblicato sul Manifesto un articolo intitolato “Un codice che sa di restaurazione”.
Scrive Chiarot: «Il codice doveva offrire visione e strumenti, è invece un progetto di occupazione di uno dei settori più strategici della cultura italiana».
Con il Codice nei teatri lirici una sola regia: quella del potere.
Nei teatri lirici ci sarà una regia unica: quella del potere. Si introdurrà uno svuotamento delle figure sia del sovrintendente che del sindaco. Il capitolo delle nomine è centrale. La destra non ha (ancora) una classe dirigenziale degna di questo nome, si arrangia con quello che ha. E dunque ecco il capo cultura di Fratelli d’Italia Mollicone che per esaltare le qualità di Beatrice Venezi travolta dalle polemiche per la sua nomina alla Fenice ricorda che la direttrice d’orchestra ha co-condotto il Festival di Sanremo; ecco il sottosegretario Mazzi che dice che l’opera fa parte di una epoca «pre elettrica» e che i giovani di stare sedutiquattro ore a sorbirsi Verdi non ne hanno proprio voglia, meglio fare il Greatest Hits delle opere.
Cristiano Chiarot teme il ritorno del Regime!
Pensiero lecito ma forse azzardato.
Credo che questa Riforma, nel panorama dello spettacolo, possa lasciar svegliare tanti studiosi del mondo del Lavoro, di questo lavoro, e parlo principalmente di figure cardine dell’organizzazione e della pianificazione dei cartelloni della Lirico Sinfonica.
Invogliare i giovani alla musica classica è cosa buona e giusta, lasciar digerire forzatamente un “La Forza Del Destino” perché diventi strumento di formazione politico-sociale e ideologica è roba da bocciare!
L’Insieme delle fondazioni Magre dovrebbero risorgere con un meccanismo compatto e ancora più meticoloso al fine di rigenerare le figure professionali dello Spettacolo e formare sempre meglio, grazie all’ausilio delle parti sociali, in modo da poter soddisfare una rete di esigenze dove la Mobilità del personale avrebbe identità e orgoglio su territorio nazionale.
Giù dalla torre i sovrintendenti? No!
Sul trono i direttori generali? Forse!
Il tutto opinabile!
Senza nulla togliere alle decisioni interne di cadauna fondazione, oltre al sovrintendente ci potrebbe stare anche un direttore generale ma nella valutazione delle piramidi che si configurerebbero, creare un sovrintendente unico a capo delle “Magre” e delegare potere subordinato ai direttori generali starebbe a significare perdita di prestigio cadauna fondazione “Magra”.
Valerio Cappelli
Le colpe e gli errori della sinistra.
Non che la sinistra non abbia avuto le sue colpe, anzi, Franceschini commise tanti errori, daltax credit indiscriminato nel cinema alla fallimentare ItsArt (la piattaforma pay tvpropugnata dal ministero della Cultura), fino al fallimentare spettacolo su Nerone al Palatino costato un occhio della testa. Per non parlare di certe nomine per festival importanti, risolte nei salotti romani.
Ma viene da chiedersi: in quale mondo vivono i politici? Hanno mai ascoltato un’opera all’estero, nelle città che contano musicalmente, e sono mai andati a un concerto, a parte quelli istituzionali? Quali parametri culturali hanno? In questo scenario irrompe il Codice unico dello Spettacolo.
C’è l’ostentazione del potere, l’idea che lo Stato finanzia la lirica e dunque «si fa come dico io».
Le nove sinfonie del governo Meloni all’opera: il Codice in 9punti
Cristiano Chiarot ci aiuta a capire fatti e misfatti del nuovo Codice. Ecco le principali novità, le nove sinfonie del governo Meloni in campo operistico.
1. I teatri dovranno coordinare la loro attività «per la valorizzazione delle grandi opere della tradizione italiana», secondo una logica nazional-popolare. Si aggiunge «la riscoperta di nuove opere dei compositori di quella straordinaria epopea» (è scritto proprio così), e non si capisce se si riferiscano a improbabili inediti di Rossini, Donizetti e via dicendo.
2. Il sindaco, attualmente presidente della fondazione, riduce le sue prerogative. Nel caso in cui non volesse farlo, subentra il consigliere nominato dal Ministero della Cultura. E il sindaco, depotenziato, perde un suo consigliere rispetto a com’è adesso.
3. Nuove figure in organico, con relative assunzioni. I direttori artistici (che dovranno assumere un collaboratore con meno di 35 anni) diventano obbligatori, e con loro i direttori marketing.
Tutto questo ha il sapore di un corso di formazione per, appunto, la classe dirigenziale del futuro, presumibilmente adepti vicini alla destra, in ambito operistico.
4. Le fondazioni dovranno coordinarsi tra di loro e fare economia di scala garantendo, tra l’altro, «l’incremento dei biglietti venduti attraverso attività di comunicazione e marketing».
5. Il Ministero della Cultura, al verificarsi di determinate situazioni, può inquadrare (ovvero declassare) un gran teatro a teatro d’opera, che è una nuova categoria nata ora e che nessunocapisce cosa sarà. Per i contributi statali rimangono più o meno i parametri attuali, ma non sono specificate le percentuali.
6. In caso di disavanzo, è confermato che le fondazioni devono ridurre l’attività, anche con chiusure temporanee e la trasformazione provvisoria del rapporto di lavoro del personale, da tempo pieno a parziale, per assicurare l’equilibrio economico nell’esercizio successivo.
7. Viene costituito un corpo di ballo «di eccellenza nazionale» allocato in una fondazione da individuare che dovrà essere invitato da tutte le fondazioni. È un corpo di ballo non stabile maprecario: nasce per tre anni e non si sa cosa succederà. I corpi di ballo esistenti restano ed è previsto un potenziamento.
8. Viene riconosciuta la professione di agente, in rappresentanza degli artisti: al ministero verrà istituito un albo apposito.
9. Cambia completamente la configurazione del cachet, ora onnicomprensivo; si dovrà prevedere a parte, con un appesantimento burocratico e un rischio concreto di un aggraviodei costi, una serie di remunerazioni per il periodo delle prove, nonché la liberatoria per le riprese video, e il rimborso per le spese viaggi.
Si aspettano tante Traviate con regie convenzionali (anche a Venezia Chiarot la propose ogni anno, ma con Carsen, con Chung, con grandi cantanti…). Si innalzeranno i calici su siparietti dipinti. Ma c’è poco da brindare.
Michele Letizia
Con passione rispondo ai punti 4, 5, 6 e 7
4) Accorpamento di Produzione tra le “Magre”, necessario tra programmazione e finanze!
5 – 6) Focus distribuzione fondi, necessario, capillare ai fini di evitare disavanzo ed evitare interruzioni di Produzione e discontinuità contrattuale dei lavoratori.
7) Ok per un corpo di ballo nazionale, proporrei una fondazione unica per il ballo con l’accorpamento degli altri corpi di ballo e relative scuole di ballo attualmente in piedi presso le fondazioni lirico sinfoniche.
Saranno pur visionarie le mie risposte ma da creativo ho sempre guardato oltre ed il tempo qualche volta mi rende giustizia, grazie. «Il mio regno per un cavallo» – «My kingdomfor a horse» … è la frase che William Shakespeare fa pronunciare al Re d’Inghilterra Riccardo III durante la battaglia di Bosworth, quando viene disarcionato dal suo destriero e nella quale finirà per essere ucciso.