La realtà dei docenti italiani è difficile: sottopagati, con malattie non riconosciute e una lotta per i trasferimenti.
Nell’immaginario collettivo (fomentato anche da buona parte del governo in carica, sulla cui cultura e preparazione ci sarebbe tanto da dire), i docenti italiani vivono nella bambagia: 18 ore settimanali, 1500€ al mese, tre mesi di vacanza: chi sta meglio di loro?
Realtà: 18 ore di lezione a cui vanno sommate le ore per i consigli di circolo, d’interclasse, la programmazione, la correzione dei compiti a casa, la firma fino a fine giugno e dal primo settembre, a prescindere dalla presenza degli alunni.
Stipendi? Gli italiani e i docenti sono tra i più poveri e sottopagati d’Europa, con un potere d’acquisto che è notevolmente diminuito in questi anni: l’Istat parla di -10,5% e nuovi poveri.
Per capirci, gli insegnanti tedeschi guadagnano 62.322 euro annuali, i colleghi francesi 32.186 euro, gli spagnoli 36.580 euro, mentre gli italiani solo 27.079 euro, battendo gli insegnanti dei Paesi candidati all’UE, che guadagnano meno di 12.000 euro all’anno. Fonte: Euronews.
Questa è la storia di Chiara, docente fuori sede. Chiara ha alcune patologie non riconosciute, pertanto non può sperare in un avvicinamento a casa.
Questo è il giudizio di Chiara:
“L’anno è stato molto intenso, come al solito ho profuso il massimo impegno, ho voluto rianimare un po’ la didattica: ci sono riuscita, ma poi il lavoro è ricaduto tutto su di me. Sono soddisfatta di quello che ho fatto.
Sto lottando per vedere riconosciute le mie patologie ed è una notevole fonte di stress: prima devi fare le scartoffie, altrimenti non riesci a fare la domanda di trasferimento – che comunque non ottieni – poi così, poi colà e passano mesi. Troverò pace dal 30 giugno, finalmente andrò in ferie. Io vorrei avere l’opportunità di potermi curare stando a casa e non fuori sede con tutti i disagi connessi”.
Oltre la beffa, il danno: Chiara dovrà sottoporsi anche a un cosiddetto intervento maggiore ma, come dice lei stessa in un messaggio su Whatsapp, “Devo capire, e in tempi rapidi, cosa fare. Devo capire bene la modalità d’intervento: se mi sbrigo e se trovo uno bravo, potrei cavarmela con un’anestesia locale, un’epidurale. Prima di questo, però, devo fare un esame con contrasto e non so se riesco ad evitarlo. Ciò implica uso di Bentelan e stare ferma in un posto: non posso prendere il sole.
Per potermi avvicinare a casa, è battaglia: devi insistere e insistere, trovare il cavillo e sperare che loro (l’INPS) ti facciano intuire qual è il cavillo. Se l’INPS mi avesse detto queste cose l’anno scorso, avrei avuto il trasferimento e mi sarei potuta curare.
Vedi tu se mi devo trascurare la salute per lavoro. Non posso scegliere di stare in aspettativa, altrimenti chi mi mantiene? E da qui puoi capire perché la rabbia aumenta. Mi piace il mio lavoro, ho fatto dei progetti, però questo mi costa caro, soprattutto non avere riscontro né economico, perché comunque il mio stipendio è uguale a quello degli altri, né di altro genere. Se in Italia si valutassero le attività svolte, sarei già a casa mia.
Ti giuro che…lo sai benissimo, quando ti devi occupare di tante cose e lavori, ora hai questo problema di salute, ti rialzi un attimo e ti viene un attacco di emicrania, ti rialzi e devi preparare le scartoffie perché altrimenti non riesci a fare la domanda di trasferimento, la vita scorre così, tra alti e bassi e “questo poi lo faccio”. Passano mesi così”.