Una voce nel deserto – Commento al Vangelo di domenica 9 dicembre 2018

di Marco Natale

Leggendo il testo del Vangelo di questa seconda domenica di Avvento emerge chiaramente tutta la sua centralità e la sua storicità. Sembra quasi che la sua concretezza costituisca una sorta di difesa dalla negazione dei suoi contenuti. Quante volte abbiamo ascoltato frasi del tipo: “Sarà vero quanto ci viene raccontato? O sarà frutto solo di un messaggio per tenerci buoni? Ciò che sicuramente non si può negare è proprio la storicità sia del messaggio che degli autori. I Vangeli è certo, sono stati scritti in un preciso periodo storico e da personaggi in “carne ed ossa”. Nonostante queste certezze, la nostra natura umana sembra sempre avere la meglio. Siamo fatti cosi, tendiamo sempre a negare quando la cosa ci è scomoda o non ci convince. Eppure il Vangelo è sopravvissuto per oltre duemila anni e sopravviverà ancora a lungo superando le nostre aspettative. Ci siamo chiesti il perché? Credo che la ragione principale sia da ricercarsi innanzitutto proprio nella sua “concretezza” e nella sua “profondità spirituale”. E’ un messaggio che va diritto al cuore di ogni credente e inquieta anche chi credente non si professa. Si proprio la concretezza. Questa caratteristica emerge prorompente nel testo scritto dall’evangelista Luca. Egli ci racconta dell’episodio in cui Giovanni, l’ultimo profeta dell’Antico Testamento, si trova nel deserto e sta battezzando, ossia sta aprendo la strada a Dio che sta per assumere la nostra natura umana nella sua completezza. Le sue parole si trasformano in grido. Sente davvero l’urgenza di diffondere il più possibile questo messaggio affinché ognuno di noi possa trasformare la propria vita in una vita di gioia e di fiducia, aprendosi sempre di più giorno dopo giorno alla “Luce” che scalderà e illuminerà i nostri cuori.