Ti scrivo per rassegnare le dimissioni dall’incarico di assessore che mi hai conferito il 5 luglio 2019 e che mi ha consentito di partecipare al governo della città in mesi di impegno straordinario per tutti noi e di grandi sacrifici per la comunità, che oggi comincia a raccoglierne i frutti e vederne i risultati.
Ho posto con determinazione al servizio della comunità cittadina le competenze acquisite negli anni, avendo quali stelle polari della mia azione i principi di giustizia sociale e legalità, che condividiamo profondamente.
Abbiamo trovato solo macerie e rovine, e abbiamo avviato una complessa opera di ricostruzione che richiederà probabilmente molti lustri per essere portata a termine, perché molti lustri ha richiesto la distruzione materiale e morale di questo territorio.
Per di più, di diciotto mesi circa di amministrazione, undici li abbiamo passati a contrastare un’emergenza epidemiologica sanitaria e sociale senza precedenti nell’Italia repubblicana; non dimenticheremo mai quei momenti interminabili in cui abbiamo dovuto inventare risposte per domande che nessuno aveva mai sentito prima nella storia recente.
Ora, però, una fase si è definitivamente conclusa. La maggioranza uscita dalle urne il 9 giugno 2019 è implosa, logorata da una misera guerra intestina che ha rivelato l’ipostaturismo morale e politico delle fazioni che l’hanno condotta. Il destino della città è correlato da tempo agli equilibri instabili di una faida avvilente. L’ultimo Consiglio comunale ha ratificato questa crisi e aggregato, pare, una nuova maggioranza.
lo sento di dover scendere qui. Sia chiaro, dunque, che avrei rassegnato le dimissioni anche nel caso in cui si fosse ricompattata la maggioranza originaria, perché il termine della mia esperienza nell’esecutivo si inscrive esclusivamente in quello che interpreto come l’esaurimento di un momento politico, l’appannarsi cioè di quella finestra temporale nata nella primavera della campagna elettorale e dalla quale si era insinuato il soffio vitale di un’altra politica. Ho condiviso con te quell’entusiasmo e al permanere di quel clima gradevole ho vincolato la mia disponibilità.
Una lunga tradizione di pensiero che giunge fino a noi mi insegna, infatti, che c’è un tempo debito per le cose della vita, un solo istante critico e fecondo. Un solo momento opportuno, kairos, figlio di una miscela propizia. Ma questo momento giusto è una congiuntura precaria, fragile e deteriorabile, che va custodita con cura.
Non ti nascondo che il richiudersi di questo tempo debito esaurisce anche i miei già risicati margini di tolleranza nei confronti dell’asfittico sistema partitico e politico territoriale. Per mesi, piccoli giocatori di un risiko di provincia, autoproclamatisi ‘statisti’, hanno volenterosamente cercato di spiegarmi cos’è la “vera politica” e il fatto che i voti “si fanno”. Li ringrazio di aver generosamente condiviso con me il mistero iniziatico della fabbricazione del voto e l’immensa tristezza di questa visione del Politico. Per ora, la mia conversione è rimandata.
Ho ancora idee e ideali, che sono reali e concreti; come reale è lo studio e la ricerca con cui li modello con curiosità e passione. In diciotto mesi, allievo impenitente, neppure il disprezzo per la cultura sono riuscito ad assimilare da questi precettori. Ho scelto con cura i miei maestri di giustizia e libertà in un tempo che li precede e li sovrasta. Così, sono ancora di quelli che rivendicano i libri letti come i calli sulle mani.
Penso che a questi politici piccoli piccoli vada comunque riconosciuta, insieme alla sicura capacità di fabbricare consenso, anche l’indubbia responsabilità del desolante stato di queste terre, dell’indiffia qualità della vita in cui hanno costretto a vivere noi e a cui hanno destinato i nostri figli. Una politica fatta di rendite di posizione e governo dell’intermediazione immobilizza questa terra in un lungo feudalesimo che si regge su gerarchie servili di vassalli, valvassori e valvassini. Nessuno si senta offeso, è un sistema condiviso, diffuso, trasversale e transgenerazionale, in cui si confondono giovani e vecchie cariatidi politiche.
Purtroppo, anche molti di coloro che non lo praticano ne subiscono la grottesca suggestione.
In questi mesi mi hai fatto, però, conoscere anche una parte di città reale che si impegna quotidianamente per cambiare la situazione del popolo fragile e non per proliferare sul suo stato putrescente di bisogno. Insieme a loro, abbiamo lavorato giorno per giorno, atto per atto, sotto l’insegna del “prima gli ultimi”.


