Abbiategrasso, violenza a scuola: un’aggressione che parla anche di disagio giovanile

Il caso dell’Istituto Lombardini di Abbiategrasso riaccende i riflettori sulla condizione giovanile, sull’autorità educativa e sul ruolo della scuola in una società segnata da fragilità familiari e culturali.

Un professore aggredito con un calcio da uno studente. Un episodio drammatico, avvenuto all’Istituto professionale Lombardini di Abbiategrasso, che scuote l’opinione pubblica e riporta al centro del dibattito la tenuta del sistema educativo italiano. Dietro il gesto isolato, forse, si cela una crisi più ampia: quella dell’adolescenza, della famiglia, della scuola e, più in generale, della nostra società.

Un gesto che scuote

Questo gesto improvviso, violento, e per certi versi simbolico, con cui uno studente dell’Istituto professionale Lombardini di Abbiategrasso ha aggredito un insegnante, non è solo un fatto grave. L’episodio, infatti, richiama l’attenzione sulla sicurezza generale attesa nelle scuole, ma anche sul disagio latente che attraversa una parte della popolazione studentesca, spesso invisibile fino a quando esplode in atti estremi e drammatici. In questo caso c’è stato l’intervento del Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara.

Le reazioni istituzionali

Il ministro Valditara ha espresso solidarietà al docente colpito e al dirigente scolastico Michele Raffaeli, sottolineando l’importanza della recente riforma della condotta studentesca, volta a ripristinare il principio della responsabilità individuale. La scuola ha escluso lo studente dal prosieguo del percorso scolastico interno. Una decisione che risponde all’urgenza di protezione, ma che, da sola, non può bastare a spiegare né a prevenire il ripetersi di simili episodi.

Il quadro sociologico: famiglie fragili e modelli distorti

Episodi come quello di Abbiategrasso riflettono un contesto ben più ampio. Dietro questi gesti ci sono  famiglie spesso in affanno nel sostenere un’autorevolezza educativa. Ma, anche  giovani esposti a modelli culturali che premiano l’aggressività e la vittoria del più forte. Il bullismo, in questa prospettiva, non è solo un fenomeno scolastico, ma il sintomo di una società che fatica a proporre modelli alternativi. La scuola, lasciata sempre più sola nel suo compito formativo, è chiamata sa supplire a carenze esterne, affrontando tensioni di origine diversa. Non è facile intervenire in dinamiche familiari, sociali e mediatiche, senza disporre degli strumenti necessari per un’azione strutturata e sistemica.

Il ruolo dell’insegnante: tra didattica ed educazione

Il docente aggredito rappresenta, suo malgrado, una figura emblematica della condizione dell’insegnante costantemente sotto pressione, spesso lasciato solo a gestire dinamiche relazionali che vanno ben oltre la didattica. L’insegnante si trova così al crocevia tra le aspettative di genitori, studenti e istituzioni, portando con se il peso di un ruolo educativo ampio. E, questo, senza che ci sia un corrispondente riconoscimento, né in termini di formazione né di protezione.

Ripensare il patto educativo

L’episodio di Abbiategrasso è il segnale di una crisi più ampia, che investe la tenuta del patto educativo tra scuola, famiglia e società. Come già detto, servono azioni coordinate: sostegno psicologico nelle scuole, formazione per i docenti, una maggiore corresponsabilità educativa da parte delle famiglie. Ma occorre anche un salto culturale affinché sia restituita dignità all’autorità educativa. Occorre valorizzare il rispetto sopratutto per contrastare la narrazione dominante che esalta il conflitto come unica modalità di affermazione.

Un gesto che esprime violenza e anormalità 

Il comportamento dello studente non può essere giustificato. La violenza, soprattutto in un contesto educativo, resta un atto inaccettabile e da condannare con fermezza. Ma non per questo può essere semplicemente etichettato e archiviato come il frutto di un’“anormalità” individuale. Deve invece essere compreso nel suo contesto sociale, educativo e relazionale. Questo perché occorre considerare che esso contribuisce — anche in modo silenzioso — a generare frustrazione, solitudine e disorientamento nei giovani.

Comprendere, in questo senso, significa interrogarsi su cosa abbia reso possibile quel gesto, su quali vuoti — affettivi, educativi, culturali — si annidino dietro un comportamento tanto estremo. Significa, altresì, domandarsi se ci siano stati segnali trascurati, se il patto educativo tra scuola e famiglia sia stato fragile o inesistente. O se il modello di relazioni che offriamo ai giovani sia coerente con i valori che a parole promuoviamo.

Non è una difesa, ma un’assunzione collettiva di responsabilità. La scuola non può essere lasciata da sola nel compito di prevenire e affrontare il disagio giovanile. Occorrono sinergie concrete tra istituzioni, famiglie, servizi territoriali, realtà educative informali. Ed è necessario riconoscere che il malessere di molti adolescenti è strutturale, e che episodi di violenza come questo, seppur minoritari, sono la punta di un iceberg.

Educare non significa solo trasmettere contenuti, ma anche coltivare una cultura della cura e del rispetto. Sono aspetti che non nascono per decreto, ma che si costruiscono ogni giorno, attraverso relazioni autentiche, modelli positivi, spazi di ascolto e inclusione. Il gesto dello studente, nella sua gravità, ci costringe a guardare in faccia una realtà che probabilmente preferiremmo ignorare.