Dipendenza da telefonino: non basta un limite d’età al suo uso

Nel corso della giornata non trovare prontamente il nostro smartphone ci ha condotto sull’orlo di una crisi di nervi? Abbiamo provato la spiacevole sensazione di rischiare di perderci qualcosa se non restevamo connessi? Allora potremmo essere preda della nomofobia, una condizione psicologica decisamente in crescita, soprattutto tra adolescenti e giovani adulti.

Il termine deriva da NO Mobile Phone PhoBIA ed è stato creato per la prima volta nel Regno Unito nel 2008. Questo dominio della tecnologia digitale fino a renderci dipendenti definisce un impatto non solo psicologico ma anche sociale sulle persone, in particolare su quelle di più giovane età. Per questo l’OMS ha deciso di inserire nella classifica internazionale delle malattie (ICD) anche quella da videogiochi e da Internet, inserendole tra i disturbi psico-comportamentali. Ci siamo quasi abituati ad osservare bambini in tenerissima età portati a spasso nel passeggino con l’allegato smartphone tra le mani e da quello ipnotizzati. E adolescenti che radunati intorno ad un tavolo o su una panchina con gruppi di coetanei restano in serafico silenzio per tempi interminabili preferendo uno schermo e le sue seducenti proposte video e audio.

Il grave allarme nasce anche per la natura delle applicazioni e dei giochi offerti e progettati esclusivamente per un pubblico giovane. In Italia sono 14,2 milioni i gamer, utilizzatori abituali di videogiochi, 160 sono  le aziende videoludiche presenti sul territorio nazionale, per un fatturato pari a 2,2 miliardi di euro. Sono i numeri che emergono dall’ultimo report sul mercato italiano dei videogiochi pubblicato dall’associazione IIDEA (Italian Interactive Digital Entertainment Association).

Ci sono studi tuttavia che confermano come i videogiochi possono essere alleati di bambini e adulti nello sviluppo delle abilità cognitive e sociali, sostenendo la regolazione emotiva. Questo non può tuttavia negarne i rischi. Piuttosto che demonizzarli sarebbe utile fornire spunti di riflessione sulla pratica quotidiana dei soggetti che giocano e si dedicano in generale all’uso dei dispositivi digitali come smartphone, tablet e pc. Secondo una ricerca realizzata da SOS Telefono Azzurro Onlus in collaborazione con Doxakids, “Tempo del web. Adolescenti e genitori online”, il 17% dei ragazzi intervistati dichiara di non riuscire a staccarsi da smartphone e social, 1 su 4 (25%) è sempre online, quasi 1 su 2 (45%) si connette più volte al giorno, 1 su 5 (21%) è afflitto da vamping: si sveglia durante la notte per controllare i messaggi arrivati sul proprio cellulare. Quasi 4 su 5 (78%) chattano continuamente su WhatsApp. Recentemente la premier Mette Frederiksen ha presentato un’iniziativa al parlamento danese destinata a sollevare un ampio dibattito: vietare l’uso dei social network ai minori di 15 anni. La Danimarca seguirebbe così paesi come Norvegia e Australia, che stanno già discutendo misure simili per proteggere la salute mentale dei giovani. La proposta di legge non ha definito i dettagli pratici: non si sa come sarà controllato il rispetto del divieto né quali piattaforme saranno coinvolte. L’unica ipotesi finora emersa è che i ragazzi dai 13 ai 15 anni potrebbero accedere ai social solo con l’autorizzazione dei genitori.

Ci sembra d’interesse quanto propone in un’intervista, pubblicata su semprenews.it,  Lilit Boninsegni, esperta in comunicazione, media e culture giovanili, co-leader del gruppo “Smartphone Free Childhood Italia”, un gruppo di più di 500 genitori ed educatori sparsi in tutta Italia, uniti per creare un hub nazionale e locale per supportare un uso informato e creativo del digitale: “L’idea di introdurre un divieto per proteggere i più giovani dall’esposizione precoce ai social media parte da un intento positivo, ma la vera sfida è capire come costruirlo e attuarlo in modo efficace. Una misura di questo tipo deve essere accompagnata da strumenti concreti, percorsi educativi e spazi di confronto, per evitare che, pur con buone intenzioni, finisca per creare nuovi rischi o diseguaglianze. Occorre quindi un processo partecipato, che coinvolga genitori, scuole, comunità locali e istituzioni. Il consiglio – continua Boninsegni- è di non restare soli, ma di iniziare parlando con altri genitori, condividendo dubbi e preoccupazioni e cercando insieme le prime soluzioni collettive. Il cambiamento nasce proprio da qui: dal dialogo e dalla relazione, dall’attivarsi all’interno di piccoli gruppi di confronto. La crescita digitale dei figli non è un percorso individuale, ma una responsabilità condivisa che può essere affrontata solo costruendo comunità e sostegno reciproco”.

Un Movimento per l’infanzia libera dagli smartphone (SFCM) sta consolidandosi in Italia richiamandosi al più vasto e conosciuto movimento anglosassone. Per informazioni scrivere all’indirizzo di posta elettronica cresceresenzasmartphone@gmail.com.

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