Ha chiuso i propri battenti, nella giornata di ieri, giovedì 28 febbraio 2019, l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Pietro” di Caserta. Non si capisce quali siano stati i motivi di tale decisione, a nostro avviso letteralmente “scellerata”.
A quanto pare si tratta di una decisione calata letteralmente dall’alto, un vero e proprio “colpo di spugna” che ha decretato la chiusura dell’istituto sito all’interno del Vescovado di Caserta. Tutti gli addetti ai lavori infatti si sono ritrovati di fronte al fatto già compiuto, per cui non si è potuto fare alcunché per cambiare le carte in tavola. Proviamo a ricostruire la vicenda.
Un po’ di anni fa c’è stato un orientamento nazionale che ha deciso di verificare le “condizioni di salute” degli 80 istituti superiori di Scienze Religiose presenti in tutta Italia. Orientamento che prevedeva la chiusura degli istituti che non fossero in possesso dei requisiti idonei al prosieguo della propria attività. Il dato di fatto però è che l’Istituto casertano non ha mai ricevuto una risposta da quest’operazione di verifica, che evidenziasse in qualche modo gli eventuali aspetti deficitari.
Ebbene sì, perché in realtà l’I.S.S.R. “San Pietro” di Caserta, in 11 anni di attività sul territorio (ricordiamo che il primo anno accademico istituzionalizzato dal Vaticano ha preso il via nel 2007) non ha mai riscontrato problematiche particolari, rispettando tutti quei requisiti richiesti a livello nazionale: frequentato da moltissimi studenti, docenti altamente qualificati, aule confortevoli e soprattutto bilancio sempre in attivo.
Stiamo parlando in sostanza di un istituto che andava non bene ma benissimo, che proponeva un’ampia offerta formativa (master, corso di alta formazione socio-politica sulla dottrina sociale della Chiesa, il corso di lingua e cultura italiana, il corso di inglese in partenariato con il Cambridge. Addirittura a breve sarebbe stato attivato anche l’importante corso sul turismo religioso per la valorizzazione dei beni culturali ecclesiastici). Insomma un vero e proprio centro di formazione accademica e culturale, che ogni anno registrava 20 e più iscritti al corso di laurea quinquennale.
La decisione concretizzatasi solo nella giornata di ieri in realtà è frutto di molteplici scontri al vertice molto aspri. Sembrerebbe infatti che addirittura qualche anno fa ci fosse la volontà di chiudere tutti e tre gli istituti presenti nella provincia di Caserta (Caserta, Aversa e Capua) indipendentemente dall’orientamento nazionale. Solo successivamente sarebbe invece maturata l’idea di dare vita ad un unico istituto.
Si è “ben” pensato però di arrecare un grave danno alla diocesi e soprattutto alla città di Caserta, collocando la sede di tale istituto in quel di Capua (attualmente sito all’interno del Vescovado, al secondo piano).
Tutti si aspettavano invece che la realizzazione di questo istituto, ex novo, sarebbe avvenuta a Caserta, in quanto città capoluogo e soprattutto perché meglio collegata agli altri comuni della provincia. Ma in realtà, evidentemente, l’unico che aveva il potere di prendere tale decisione l’ha pensata diversamente.
In poche parole, volendo esemplificare la vicenda, è come se uno avesse tre negozi, uno che va bene a Caserta, uno che va così e così ad Aversa ed un altro che va male a Capua, e decidesse di chiuderli tutti per aprirne uno nuovo a Capua, dove va male.
In effetti si è fatto, per l’ennesima volta, un passo indietro rispetto al desiderio che parte della politica, delle realtà associazionistiche e dei cittadini vorrebbero, e cioè, che Caserta possa essere (e non soltanto a parole) la capitale economica, culturale e turistica di Terra di Lavoro.
Sarebbe interessante a questo punto conoscere il parere della politica casertana.
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