di Giovanna Paolino
Processo Resit
Legambiente: “Una condanna che colpisce al cuore l’ecomafia nella terra dei Fuochi”.
Il Tribunale di Napoli ha condannato l’avvocato Cipriano Chianese, ritenuto l’inventore delle ecomafie, per conto del clan dei Casalesi, a venti anni di reclusione per disastro ambientale e traffico illecito di rifiuti con l’aggravante mafiosa. Le condanne sono state emesse nell’ambito del cosiddetto processo Resit, sullo smaltimento illegale di rifiuti nella discarica di Giugliano in Campania, utilizzata anche dal commissariato in occasione di uno dei periodi più acuti dell’emergenza in Campania.
Sedici anni di reclusione sono stati inflitti a Gaetano Cerci, anche lui imprenditore ritenuto legato al clan dei Casalesi; 12 anni, invece, per Remo Alfani.
Condannato a cinque anni e sei mesi l’ex sub commissario all’emergenza rifiuti tra il 2000 e il 2004, Giulio Facchi, quando era commissario Antonio Bassolino. Per lui il sostituto procuratore di Napoli Alessandro Milita, nel corso della requisitoria, chiese 30 anni di carcere.
Complessivamente il pm chiese 280 anni di carcere. I giudici hanno anche condannato tre imprenditori del settore dei rifiuti, i fratelli Elio, Generoso e Raffaele Roma, rispettivamente a 6 e 5 anni e 6 mesi per gli altri due. I tre imprenditori, difesi dall’avvocato Mario Griffo, sono stati assolti dall’accusa di disastro ambientale.
“Una condanna che colpisce al cuore l’ecomafia nella terra dei Fuochi. Esprimiamo grande soddisfazione per la sentenza emessa oggi dal Tribunale di Napoli negli confronti degli imputati che erano già stati denunciati da Legambiente nel rapporto Rifiuti spa del 1994. È una sentenza fondamentale che riconosce le gravi responsabilità della mattanza messa in campo nelle province di Napoli e Caserta da nomi noti alle cronache giudizio per traffico illegale di rifiuti. La rinascita della Terra della Fuochi deve ripartire dalla condanna dei colpevoli e dal risanamento delle aree avvelenata dalle ecomafie”.
Così Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente commenta l’esito del processo sulla discarica Resit.
La Campania si è confermata anche quest’anno core business nazionale nel Rapporto Ecomafia 2016 di Legambiente. Un dizionario dell’ecocidio che si ripete da oltre 22 anni. Un elenco di abusi, di cemento, di veleni, di territorio martoriato, di clan che fanno affari. I numeri sono chiari e senza appelli: un reato ogni due ore, 12 reati al giorno, per un totale di 4.277 reati accertati di illegalità ambientale, il 15,6% del totale nazionale, 3.265 persone denunciate e 22 arrestate, cui si aggiungono 1.040 sequestri.
“Oggi chi inquina paga. Se nel 2015 – aggiunge Michele Buonomo, presidente di Legambiente Campania – abbiamo salutato con sollievo l’introduzione degli ecoreati nel Codice penale, il 2016 è l’anno in cui si cominciano a raccogliere i risultati di un’azione repressiva più efficace e finalmente degna di un paese civile. È urgente ora affiancare alla risposta giudiziaria, una risposta che deve nascere dal tessuto imprenditoriale e sociale e che deve essere accompagnata con forza da istituzioni capaci di dare alternative in termini di fatturati, profitti, creazione di lavoro e di servizi per occupare da subito gli spazi che vengono liberati dall’oppressione mafiosa ed ecocriminale”.
Per anni la discarica Resit di Giugliano ha ingoiato rifiuti di ogni genere, anche quelli pericolosi, provenienti da siti industriali di ogni parte di Italia. Un invaso dal quale per decenni è stata estratta “pozzolana” da destinare alle costruzioni e poi riempito di immondizia, diventando una bomba ecologica. Ma non lontano dalla Resit, nel giro di una decina di chilometri, vi sono anche altre discariche che nel corso degli anni hanno ingoiato la spazzatura del napoletano. E poi il sito di Masseria del Re dove oggi al posto delle distesa di grano ci sono circa 6 milioni di ecoballe di spazzatura la cui rimozione è stata avviata nelle scorse settimane.
E’ durato a lungo il processo Resit che si è concluso oggi in Corte di Assise: 180 udienze nel corso delle quali si è ricostruito il business della “monnezza” e l’avvelenamento di uno degli angoli più fertili della Campania Felix, una volta rinomato per la bontà ed il profumo delle “percoche” (le pesce a pasta gialla esportate nei mercati generali di mezza Europa), le mele annurche e gli alti vitigni di asprinio. Ma sul finire degli anni ’80 su quell’area misero le mani i signori delle ecomafie. E così alcune vecchie di cave di tufo sono state riempite, nel giro di poco tempo, di spazzatura, e non solo quella urbana, ma soprattutto di scarti industriali, sversati a prezzi concorrenziali. Con la regia di imprenditori senza troppi scrupoli. E i contadini della zona per lavorare si sono trasferiti altrove. Si è parlato di file di camion che nottetempo hanno vomitato in quell’invaso di tutto. Su quella discarica, a sulle attività ad esse connesse, ha indagato per prima con tenacia e caparbietà l’ispettore di polizia Nicola Mancini, il poliziotto romano deceduto per cancro. Un uomo delle istituzioni che decise di veder chiaro su un affare milionario. Ad attendere la sentenza in aula del Tribunale di Napoli c’era anche la vedova, accanto ai tanti rappresentanti dei movimenti ambientalisti.