Roma grida pace per Gaza: la speranza sfila tra le vie della Capitale

In decine di migliaia da tutta Italia hanno attraversato Roma per chiedere giustizia e la fine delle violenze a Gaza. Cori, interventi e bandiere unite per la pace.

Roma ha vissuto una giornata di straordinaria partecipazione civile. Migliaia di persone si sono riunite per rompere il silenzio sulla tragedia che colpisce la popolazione di Gaza. In piazza San Giovanni si è alzato un coro esteso per la pace, la giustizia e il riconoscimento dei diritti del popolo palestinese. Tra emozioni e denuncia, la mobilitazione ha così dato voce a chi non ce l’ha.

Un’invasione pacifica per fermare le morti in Palestina

La capitale ha accolto una folla variegata e determinata. Donne e uomini, giovani e anziani, famiglie intere hanno invaso pacificamente le strade della Capitale. Tutti uniti dallo stesso appello: fermare la carneficina, chiedere la fine dei bombardamenti e difendere i diritti dei civili palestinesi.

Un’organizzazione complessa per garantire la partecipazione

Molti manifestanti hanno affrontato viaggi lunghi per esserci. Pullman organizzati, treni, auto condivise: nessun ostacolo ha fermato la volontà di partecipare. Le bandiere di partiti, associazioni e movimenti  hanno accompagnato un corteo che ha scelto di camminare nella stessa direzione.

Simboli e testimonianze

I vessilli del Partito Democratico, del PSI, del Movimento 5 Stelle, di Alleanza Verdi e Sinistra e di numerose realtà civiche hanno sfilato fianco a fianco. Hanno testimoniato un impegno condiviso: riconoscere e denunciare l’orrore che colpisce la popolazione di Gaza. Gli slogan hanno risuonato forti: “basta massacri. Giustizia per Gaza. Cessate il fuoco subito.” 

Un palco autorevole e coinvolgente

Sul palco si sono alternate voci autorevoli e appassionate. Medici, giornalisti e attivisti hanno raccontato l’orrore quotidiano della guerra. Hanno descritto ospedali distrutti, bambini affamati e vite spazzate via. Ogni parola ha scosso le coscienze. Tra gli interventi, quello del giornalista palestinese Abubaker Abed e della storica Anna Foa. Sono saliti poi sul palco Rula Jebreal, Gad Lerner, Luisa Morgantini, Emiliano Manfredonia, Walter Massa, Silvia Stilli. Tutti hanno denunciato l’ingiustizia, hanno rivendicato diritti e hanno chiesto risposte.

Un messaggio che non lascia dubbi per la sua comprensione

Il messaggio è chiaro: non esistono più spazi per l’equidistanza. Chi parla non attacca il popolo israeliano, ma accusa apertamente il governo Netanyahu. Lo fa con parole ferme: “questa non è autodifesa. È un genocidio sistematico.”

Le voci dal palco

Le voci dal palco hanno di fatto condannato ogni forma di estremismo religioso. Gridano che nessuna fede può giustificare la violenza. Raccontano l’esperienza diretta di chi ha visto la devastazione a Rafah, la disperazione a Gerusalemme, la fame usata come arma. “La pace è l’unica via. Va costruita, imposta, governata.” Ma, gli organismi internazionali, dall’ONU alla Corte Penale Internazionale, sembrano oggi silenziati e umiliati.

L’intervento della segretaria nazionale del PD

In chiusura,è salita sul palco Elly Schlein tra i promotori della manifestazione. Con voce decisa ha affermato: “basta con il massacro dei civili palestinesi. Basta con i crimini di Netanyahu.”

Schlein ha denunciato la distruzione delle scuole, gli attacchi ai civili in fila per il cibo, l’assassinio di medici. Accusa il governo italiano di silenzio e complicità: “Meloni tace, ma il Paese vuole giustizia.” Chiede lo sblocco immediato degli aiuti umanitari, l’embargo totale delle armi, sanzioni contro Israele. E conclude con un appello: “Riconoscete lo Stato di Palestina. È questione di umanità, non di schieramento politico.”

La folla ha applaudito. Alcuni intonano “Bella ciao”, accompagnati dalla tromba di Paolo Fresu. La piazza si unisce nel grido: “Palestina libera. Due popoli, due Stati.”

La manifestazione si chiude poi tra emozione, consapevolezza e speranza. Roma, per un giorno, si è fatta coscienza viva e cuore pulsante di un’umanità che non vuole rassegnarsi.