In un mondo multipolare, l’Europa si trova in una posizione di crescente marginalità, stretta tra l’influenza commerciale degli Stati Uniti, la supremazia industriale cinese e l’aggressività politica della Russia. Ognuno di questi attori esercita una pressione che ne mette a nudo la fragilità sistemica e la scarsa coesione politica.
Russia: l’Ucraina e la crisi della sovranità europea
Il conflitto in Ucraina, iniziato nel 2014 con l’annessione della Crimea e poi esploso nel 2022 con l’invasione su larga scala da parte della Russia, ha rappresentato per l’Europa un punto di non ritorno. L’Unione Europea ha reagito con attraverso pacchetti di sanzioni economiche, invio di aiuti e sostegno militare a Kiev. Tuttavia, le profonde differenze tra gli Stati membri (dalla Polonia alla Germania, dall’Ungheria alla Francia) hanno mostrato ancora una volta l’assenza di una vera politica estera comune.
“Senza una politica estera unitaria e una difesa comune, l’Europa sarà sempre dipendente dagli altri.” – Josep Borrell, Alto rappresentante UE
Il conflitto ha rimesso al centro il concetto di autonomia strategica: energetica, militare, diplomatica, ma senza riforme strutturali, l’Europa non avrà mai peso politico
Breve storia di un’assenza: l’Europa dal 1918 a oggi
Dalla fine della Prima guerra mondiale, l’Europa ha infatti vissuto un secolo di fratture e dipendenze. Il crollo degli imperi storici (austro-ungarico, ottomano, zarista), il disastro della Seconda guerra mondiale e la successiva divisione della Guerra fredda hanno ridotto l’Europa da protagonista della storia a terra contesa da altri. Con la creazione della CECA nel 1951 e poi della CEE nel 1957, l’Europa ha cercato di rinascere (anche per volontà di peso come la Francia che anche oggi fa sentire la sua voce) come progetto economico di pace, m non ha mai compiuto il salto verso un’unità politica effettiva. La caduta del Muro di Berlino nel 1989 e l’allargamento a est negli anni Duemila sembravano segnare una sua nuova centralità. Tuttavia, crisi successive (economica nel 2008, migratoria nel 2015, pandemica nel 2020) hanno mostrato una persistente fragilità interna. Oggi, nel pieno di un conflitto armato ai propri confini, l’Europa rischia di tornare alla posizione che aveva tra le due guerre: una potenza senza voce.
Gli Stati Uniti e la logica dei dazi
Intanto, l’alleato storico d’Oltreoceano ha via via trasformato la sua posizione: da partner incondizionato a competitor commerciale. I dazi imposti agli esportatori europei, soprattutto nei settori auto, alluminio, acciaio e agroalimentare, sono stati un segnale inequivocabile. In verità, anche sotto l’amministrazione Biden, l’America First non è scomparsa: l’Inflation Reduction Act ha introdotto forti incentivi interni che penalizzano le imprese europee, creando distorsioni nel mercato. Ed è per questo che l’appello di Mario Draghi -“L’Europa ha il dovere di difendere la propria competitività senza chiedere permesso a nessuno”- risulta condivisibile quanto inascoltato
Cina: tra mercato e dipendenza
La Cina è oggi il primo partner commerciale dell’Unione Europea, ma anche il suo principale concorrente sistemico. La strategia della “Nuova Via della Seta” ha portato investimenti nei porti, nelle infrastrutture, nella logistica e nell’energia, ma ha anche alimentato forti squilibri e dipendenze strategiche. Il dominio cinese sulle tecnologie verdi, sulle batterie elettriche, sull’intelligenza artificiale e sulle terre rare mette a rischio la transizione ecologica e tecnologica europea.
Rifondare l’Europa
Se l’Unione Europea vuole uscire dalla marginalità, deve smettere di essere un’unione solo economica e diventare una comunità politica con capacità d’azione autonoma senza il timore di assumere decisioni oramai non più rimandabili. Sarebbero infatti necessarie una Costituzione europea, una difesa comune europea, realmente operativa e integrata alla NATO; una politica estera unitaria, capace di parlare con una sola voce in Africa, Medio Oriente, Balcani, Ucraina; una strategia industriale e tecnologica sovrana, dal digitale alla green economy; un’ autonomia energetica, tramite un piano condiviso di transizione e investimenti; un’ unione fiscale e bancaria, che rafforzi solidarietà e competitività interna.