Spiccioli di spiritualità, la Pasqua nella letteratura

A cura di Pietro Salvatore Reina

Per il consueto numero domenicale della rubrica “Spiccioli di spiritualità”, diretta dal prof. Pasquale Vitale, il prof. Pietro Salvatore Reina ci parla della Pasqua nella letteratura.

La Pasqua è la massima solennità della liturgia cristiana nella quale viene ripresentato il mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù.  Nei primissimi tempi del Cristianesimo la Risurrezione veniva ricordata ogni otto giorni, la domenica; poi, in età apostolica, si aggiunse la celebrazione annuale, ma non ci fu subito un accordo sulla data. Una prima corrente, detta paolina-giovannea o dei quartodecimani, celebrava la memoria il 14 Nisan (cfr. Santo Mazzarino, LImpero romano, vol. 2, pagg. 437-438) in qualunque giorno della settimana cadesse, unendo nella stessa festa la memoria della morte e quella della risurrezione di Cristo. Una seconda corrente, chiamata petrina, celebrava la solennità nella domenica successiva al 14 di Nisan.

Soltanto al Concilio di Nicea (325) si ottenne che la Pasqua fosse celebrata nello stesso giorno (quello dell’uso romano) da tutta la cristianità. Cattolici e protestanti seguono il calendario gregoriano, promulgato da papa Gregorio XIII nel 1582, in cui la Pasqua cade tra il 22 marzo e il 25 aprile di ogni anno. Gli ortodossi seguono, invece, il calendario giuliano (promulgato da Giulio Cesare nel 46 a.C.), per loro la Pasqua cade tra il 4 aprile e l8 maggio. È raro che le date della Pasqua coincidano. Questanno, però, coincidono.

Il termine ebraico pesach dal quale deriva «Pasqua» è tradotto comunemente con «passaggio», «salto», «transito» secondo l’interpretazione che si vuole dare al termine nell’espressione della Bibbia (Esodo 12,13). Il vero significato etimologico della parola è tuttora discusso e non è escluso che essa derivi dallegiziano, e sia connessa col senso di «colpire», in relazione con la decima pianga d’Egitto (la morte dei primogeniti colpiti da Dio).

Allinizio la Pasqua è stata una festa pastorale: lofferta delle primizie del gregge, cui posteriormente sarebbe stata aggiunta la festa agricola dellofferta delle primizie della mietitura dellorzo, il pane azzimo. In occasione di Pesach tutta la famiglia si riunisce attorno alla tavola in una cena particolare detta Seder (che significa ordine”). Durante il Seder viene letta l’Haggadah, cioè quelle parti della Bibbia in cui sono narrati il conflitto con il faraone, le dieci piaghe e la fuga dallEgitto. Queste due feste, collegati con gli avvenimenti dellepoca mosaica, aggiunsero un nuovo significatostoricoreligioso: il ricordo della liberazione degli Ebrei dall’Egitto. (Nelle ultime righe della Stele di Merenptah o di Israele, ritrovata nel 1896 da a Tebe ed attualmente è conservata al Museo Egizio Il Cairo, è narrato lesito vittorioso di una spedizione militare egizia condotta verso la terra di Canaan. Tra i popoli e le città sconfitti viene elencato ysrỉr. Da molti studiosi moderni ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica extrabiblica relativa al popolo ebraico). Tuttora gli Ebrei festeggiano la Pasqua con la massima solennità e per la durata di sette giorni.

Nel corso di una celebrazione pasquale Gesù, secondo la narrazione dei Vangeli, istituisce il sacramento dell’eucarestia.

Le più antiche fonti sulla Pasqua cristiana sono l’omeliaPeri Pascha, cioè Sulla Pasqua scritta da Melitone di Sardi (martirizzato verso il 190 d.C.). Si tratta di un testo liturgico del II secolo che rispecchia la prassi pasquale quartodecimana, cioè delle Chiese che celebravano la loro Pasqua il 14 di Nisan, seguendo una tradizione ereditata dall’apostolo Giovanni. Un’altra fonte è il contacio (un genere di inno ecclesiastico, numero XXXV nelle recenti edizioni critiche) che potrebbe chiamarsi «Pianto di Maria ai piedi della croce» di Romano il Melòde. Nato a Emesa (lattuale Homs), in Siria, intorno al 490 divenne diacono a Berito (Beirut). Sotto l’imperatore Anastasio si trasferì a Costantinopoli e fu assegnato alla chiesa della Vergine sita nel quartiere di Ciro. Devotissimo alla Madonna avrebbe avuto in sogno da lei il dono del canto. Da allora avrebbe composto circa mille contàci. Il «Pianto di Maria ai piedi della croce» è li più conosciuto degli inni di Romano, un drammatico dialogo fra madre e figlio, un motivo che sarà ripreso dalla letteratura religiosa di tutti i tempi. Gli elementi dell’azione sono tratti dal Vangelo secondo Luca (23, 27-31) e dal Vangelo secondo Giovanni (19, 25-27). La madre non si dà pace perché non capisce come il figlio, che durante la vita ha risuscitato morti e sanato malati, debba ora morire per la salvezza di Adamo.

Nei secoli successivi alla caduta dell’Impero romano e al periodo delle invasioni barbariche(Völkerwanderung)si sviluppò una produzione lirica collegata soprattutto alla liturgia cristiana. Ricordiamo gli inni di santAmbrogio (composti durante la Settimana Santa del 386, Veni, redemptor gentium [una vera e propria meditazione teologica che inneggia alla duplice natura umana e divina del Salvatore]), di Prudenzio (348-413, l’Orazio cristiano che celebra le vittorie spirituali dei martiri). Il termine «inno» si rifà a una forma del generelirico esistente nella letteratura greca antica e indicante il canto in onore di una divinità. Questo tipo di componimento è detto anche «lauda», poiché nel testo ricorre di frequente la parola lode (dal latino laus, laudare).

Intorno al IX secolo si formarono molte confraternite che avevano labitudine di riunirsi per cantare le lodi al Signore. In una prima fase naturalmente la lingua utilizzata è il latino; solo nel secolo XII cominciano ad apparire laudi.  Ricordiamo il Dies ierae (che è una «sequenza» più che un inno) di Tommaso da Celano (l’autore della prima biografia in duplice redazione di san Francesco), san Tommaso d’Aquino e il suo Pange, lingua, gloriosi e Jacopone da Todi. In Umbria, nel cuore spirituale dell’Italia, pochi anni dopo san Francesco d’Assisi (1182-1226), nasce a Todi Jacopone: la sua è la voce più alta della poesia religiosa medievale duecentesca. Di Jacopone dei Benedetti nato a Todi verso il 1230, non è facile distinguere la storia della leggenda. Si narra che, dottore in legge, fosse colpito dalla morte tragica della moglie e dalla scoperta sul suo cadavere di un cilicio; per ciò, si sarebbe fatto frate francescano, rinnegando la vita e la cultura mondana.Tuttavia, non condusse vita soltanto contemplativa: coinvolto negli aspri dissensi che scoppiarono nellordine tra i conventuali (che intendevano mitigare la rigida regola primitiva) e gli spirituali (che intendevano mantenerlesi fedeli) legato ai cardinali che, con alla testa Pietro e Jacopo Colonna, mossero contro papa Bonifacio VIII, firmatario con essi del manifesto di Lunghezza (1297) – che deponeva il Papa e chiedeva la convocazione del Concilio fu catturato, restò in carcere fino alla morte di Bonifacio (1303) e scomunicato. Lo fece liberare, nel 1303, papa Benedetto XI. Pare visse i suoi ultimi anni a Collazzone presso Todi ove morì nel 1306. Gli si attribuisce uno dei più famosi inni (in realtà è più una sequenza, un componimento musicale liturgico che viene recitato o cantato prima della proclamazione del Vangelo, che nasce nel IX sec.) cristiani in latino lo Stabat Mater: il dolore di una madre non lascia indifferenti, ancor più se la Madre è la Madonna. Nei versi dello Stabat mater campeggia la figura della Vergine prostrata dal tragico evento del Golgota. Anche il poeta è dolosamente coinvolto nella crocifissione del Cristo. La prima parte della preghiera, che inizia con le parole “Stabat Mater dolorosa” (La Madre addolorata stava…) è una meditazione sulle sofferenze di Maria, madre di Gesù, durante la crocifissione e la passione di Cristo. La seconda parte della preghiera, che inizia con le parole “Eia, mater, fons amoris” (Oh, Madre, fonte d’amore) è una invocazione in cui lorante chiede a Maria di farlo partecipe del dolore provato da Maria stessa e da Gesù durante la crocifissione e la Passione. Nel corso dei secoli questo commovente inno è stato messo in musica da numerosi compositori, fra i quali: Palestrina, Vivaldi, Pergolesi, Haydn, Rossini, Schubert, Verdi e nel XX secolo, Poulenc, Penderecki e Arvo Pärt.

Inoltre, è autore di numerose Laude e Satire nelle quali ora celebra Dio e la Madonna. Celeberrima la Lauda sul Pianto della Madonna, ed «è considerata lesemplare attualmente più antico della lauda drammatica» (Contini). Una lauda che ha una profonda radice teologica: la croce di Cristo è il segno di Dio che si è fatto carne ed è anche la testimonianza tangibile del dolore insito nella storia dell’umanità. Nella Lauda Maria eh umanamente e semplicemente madre chi di volta in volta canta il suo amore e il suo strazio.

Il viaggio oltremondano compiuto da Dante (insieme protagonista e narratore) e narrato nella Commedia si svolge in otto giorni durante la primavera del 1300,lanno del primo Giubileo indetto da Bonifacio VIII per il rinnovamento del mondo cristiano, forse nella settimana pasquale che va dalla mezzanotte del 7 aprile, Venerdì santo, alla mezzanotte (o al mezzogiorno) del 14 aprile. ) I vv. 112-114 del XXI Canto dellInferno

Ier, più oltre cinqu’ore che quest’otta,                                                                             mille dugento con sessanta sei
anni compié che qui la via fu rotta.

ci danno un’informazione importante e precisa per la datazione del viaggio del Sommo Poeta. Quando Dante e Virgilio assistono, spiaggia del Purgatorio, all’approdo di una barca guidata da un angelo luminosissimo, dalla quale scendono più di cento anime cantando il salmo In exitu Israel de Aegypto è l’alba del 10 aprile del 1300, la Domenica di Pasqua.

Non solo il «cammin» di Dante ma anche la data dell’innamoramento di Petrarca si incastona nel Triduo pasquale:  

                                                               

Era il giorno ch’al sol si scoloraro
per la pietà del suo factore i rai,
quando i’ fui preso, et non me ne guardai,

ché i be’ vostr’occhi, donna, mi legaro                                                                                             (Canzoniere III, vv.1-4)

così come la data del primo incontro tra Boccaccio e Fiammetta:

«Mentre che io in cotal guisa, poco rimirando e molto da molti mirata, dimoro, credendo che la mia bellezza altrui pigliasse, avvenne che l’altrui me miseramente prese»(da Elegia di Madonna Fiammetta)

che riecheggia schemi stilnovistici ed ha come principale modello il capitolo V della Vita nuova: «Un giornoavvenne che questa gentilissima sedea in parte oves’udian parole della regina della gloria […]».

 

L’Inno sacro «La Risurrezione» fu iniziato dal Manzoni nell’aprile e terminato nel giugno del 1812. Degli «Inni sacri» non è il più bello perché cede il passo alla «Pentecoste» che è del 1822, ma cominciato nel 1817 e ripreso nel 1819. Non è la «Risurrezione» un inno del tutto felicemente poetico ma «La Risurrezione»quell’inno sacro che testimonia il riscatto introspettivoreligiosoculturale di don Lisander dal calvinismo al cattolicesimo. Fu una conversione non senza travaglio spirituale, ma al tempo stesso fu l’unica via perché il Manzoni cominciasse a considerare il male della vita, che è proprio degli uomini, con l’unica via di salvezza che è della Grazia e poi della Provvidenza come dimostrerà nel grande romanzo I Promessi Sposi.

«La Risurrezione» ha momenti di alta bellezza poetica proprio nell’anelito alla fraternità e all’eguaglianza fra gli uomini per i quali il Messia è vissuto, ha predicato ed è morto sulla Croce, sul nudo Golgota. Ne «La Risurrezione» si palesa quel cattolicesimo manzoniano veramente moderno e democratico, ricondotto alle sue origini di Cristo che sceglie come suoi discepoli umili pescatori. Linno nellultima strofa si chiude con una strofa che traduce il gaudio della Chiesa, la stessa profonda gioia del surrexit:

«O beati! A lor più bello spunta il sol dei giorni santi                                                    nel Signor chi si confida                                                                                                     col Signor risorgerà».

Con queste ultime parole Manzoni ci dice che per gli uomini, sempre peccatori e sempre redenti, la Pasqua è l’ingresso, la morte e la resurrezione di un Uomo che ha predicato il bene nella vita, che è morto per gli uomini e che è risorto, non solo a novello spirito, ma come scrisse Agostino, “alla gloria dei cieli eterni come l’eternità dell’essere trascendente ed umano”.

Se Giovanni Verga ha ambientato all’alba della domenica di Pasqua la novella Cavalleria rusticana, pubblicata per la prima volta ne “Il Fanfulla della domenica” il 15 febbraio 1880, Gabriele D’Annunzio, invece, nella seconda Offerta dell’opera lirica Notturnotorna a riflettere sulla sua vita interiore e sulla sua guarigione che coincide con la Pasqua.

La Pasqua del 1928 segna una svolta importante nel percorso interiore del poeta Giuseppe Ungaretti: con lamico Vignanelli, che diventerà frate benedettino, va a Subiaco, dove segue la liturgia e fa gli esercizi spirituali. Il «padre della poesia del Novecento» nel componimento La pietà ben esprime i moti della sua anima:

«Sono un uomo ferito […]                                                                                               Dio, guarda la nostra debolezza […].                                                                           Fulmina le mie povere emozioni.                                                                               liberami dall’inquietudine […].                                                                                 Dammi questa gioia suprema».

L’uomo, monotono universo,
crede allargarsi i beni
e dalle sue mani febbrili
non escono senza fine che limiti.

Attaccato sul vuoto
Al suo filo di ragno,
non teme e non seduce
se non il proprio grido.

Ripara il logorio alzando tombe,
e per pensarti, Eterno,
non ha che le bestemmie.

Nell’anno 1964 in un dialogo tra Pier Paolo Pasolini e il produttore del film «Il Vangelo secondo Matteo» PPP scrive: « Quanto al mio rapporto «artistico» col Vangeloesso è abbastanza curioso: tu forse sai che, come scrittore nato idealmente dalla Resistenza, come marxista ecc. per tutti gli anni Cinquanta il mio lavoro ideologico è stato verso la razionalità, in polemica coll’irrazionalismo della letteratura decadente (su cui mi ero formato e che tanto amavo). L’idea di fare un film sul Vangelo, e la sua intuizione tecnica, è invece, devo confessarlo, frutto di una furiosa ondata irrazionalistica. Voglio fare pura opera di poesia, rischiando magari i pericoli dell’esteticità (Bach e in parte Mozart, come commento musicale; Piero della Francesca e in parte Duccio per l’ispirazione figurativa; la realtà, in fondo preistorica ed esotica del mondo arabo, come fondo e ambiente). Tutto questo rimette pericolosamente in ballo tutta la mia carriera di scrittore, lo so. Ma sarebbe bella che, amando così svisceratamente il Cristo di Matteo, temessi poi di rimettere in ballo qualcosa [] Per me finora la bellezza è sempre stata «aggettivata», una bellezza morale, o politica. Solo leggendo il Vangelo per la prima volta ho incontrato la bellezza assoluta»

Nel 1999 papa Giovanni Paolo II invita il poeta Mario Luzi a predisporre i testi per la Via Crucis del Venerdì Santo, successivamente raccolti e pubblicati dalla Garzanti in La Passione. Nei versi di Luzi si sente l’eco della grande poesia metafisica di Dante e del Novecento. Una Via Crucis che si conclude con queste ineffabili parole che non si possono non trascrivere:

Dal sepolcro la vita è deflagrata.
La morte ha perduto il duro agone.
Comincia un’era nuova:
                             l’uomo riconciliato nella nuova
alleanza sancita dal tuo sangue
ha dinanzi a sé la via.
Difficile tenersi in quel cammino.
La porta del tuo regno è stretta.
Ora sì, o Redentore, che abbiamo bisogno del tuo aiuto,
ora sì che invochiamo il tuo soccorso,
tu, guida e presidio, non ce lo negare.
L’offesa del mondo è stata immane.
Infinitamente più grande è stato il tuo amore.
Noi con amore ti chiediamo amore.
Amen.