Vladimiro Zagrebelsky, il giurista che trasformato il diritto in una lezione civile

È morto a 85 anni, nella sua casa di villeggiatura a Gressoney-La-Trinité, Vladimiro Zagrebelsky, uno dei più autorevoli giuristi italiani ed europei, figura di riferimento per la difesa dei diritti fondamentali e del pensiero costituzionale. Fratello maggiore del costituzionalista Gustavo, è stato un magistrato, un giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo, un intellettuale, un educatore.

La sua carriera è segnata da una rara coerenza etica. Entrato in magistratura nel 1965, ha ricoperto incarichi di crescente responsabilità: giudice istruttore a Torino, presidente della Corte d’assise, procuratore della Repubblica, componente del Consiglio Superiore della Magistratura, direttore generale dell’organizzazione giudiziaria al Ministero della Giustizia.

Ma è soprattutto con la sua elezione a giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2001 che Zagrebelsky si afferma a livello internazionale. A Strasburgo, per quasi dieci anni, è stato voce autorevole nella costruzione di una giurisprudenza attenta alla dignità della persona, alle libertà fondamentali, al rispetto dello Stato di diritto. Il suo sguardo europeista e garantista ha segnato numerose sentenze cruciali, mai piegate alle logiche emergenziali o alle pressioni politiche.

Negli anni successivi, pur avendo lasciato la magistratura attiva, non ha mai smesso di riflettere, scrivere, discutere. È stato tra i fondatori del Laboratorio dei Diritti Fondamentali al Collegio Carlo Alberto di Torino, ha collaborato con giornali e riviste, ha partecipato al dibattito pubblico con uno stile inconfondibile: sobrio, preciso, mai gridato.

Una lezione che resta: il diritto come incontro tra coscienze

Tra i suoi ultimi scritti, uno dei più intensi è senza dubbio La lezione. Riflessioni sul diritto e sull’ascolto, un piccolo libro che è insieme saggio, diario, testamento civile. In esso, Zagrebelsky rilegge il proprio percorso attraverso una domanda semplice ma radicale: che cosa significa insegnare oggi?

La risposta non è accademica, né tecnica. È umana. Per lui, la “lezione” non è trasmissione di concetti, ma dialogo tra persone libere. Non è imposizione di regole, ma cura della parola.
«Ogni lezione è una scommessa sulla libertà di chi ascolta. Non si insegna per convincere, ma per accendere il dubbio. Non si insegna per imporre, ma per accompagnare nella scelta.»

In un tempo in cui la scuola è spesso schiacciata da logiche efficientiste e l’insegnamento ridotto a erogazione di competenze, La lezione propone un’alternativa radicale: l’aula come spazio critico, il docente come testimone, il diritto come esercizio di umanità.

Un’eredità per le scuole e la democrazia

Zagrebelsky ha più volte ribadito che i diritti non sono mai acquisiti una volta per tutte. Vanno compresi, discussi, difesi. Per questo il suo impegno più recente si è rivolto anche alla scuola: ha scritto testi per l’educazione civica, ha partecipato a progetti formativi, ha proposto un’idea di educazione giuridica non dogmatica, ma democratica, capace di parlare ai giovani non con il linguaggio della norma, ma con quello della responsabilità.

Oggi che ci interroghiamo sul ruolo della scuola nella costruzione della cittadinanza, il suo pensiero rappresenta una risorsa preziosa. La lezione non è solo un libro: è una postura, un’etica, una visione. È l’ultima, lucida testimonianza di un giurista che ha creduto nella forza della parola, nel rigore della giustizia, nella possibilità di formare cittadini liberi e consapevoli. E forse proprio da qui possiamo raccogliere la sua eredità: riportando il diritto – e con esso la democrazia – dentro le aule, non come oggetto di studio, ma come esperienza viva. Come incontro tra le parole e la coscienza.