Al Senato in questi giorni sono in discussione quattro disegni di legge, della Lega, di Scalfarotto (Italia Viva), di Gasparri, di un gruppo di senatori “riformisti” del Pd. Tutti vogliono imporre misure “per la prevenzione e il contrasto dell’antisemitismo” nelle scuole, nelle università e sul web, sulla base di una definizione di antisemitismo molto controversa. Ci riferiamo alla definizione operativa di antisemitismo dell’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance), organizzazione internazionale intergovernativa fondata nel 1998 e avente 35 Stati membri, tra cui Germania, Israele, Italia, Regno Unito e Stati Uniti.
Contro alcuni nodi di discutibile rilievo della definizione era stata pubblicata, prima del 7 ottobre 2023, una lettera indirizzata alle Nazioni Unite di 104 organizzazioni non governative per la difesa dei diritti umani, tra cui Amnesty International, Human Rights Watch, ma anche il Palestinian Centre for Human Rights, Law for Palestine, B’Tselem (israeliana) e Jewish Voice for Peace. In particolare si metteva in evidenza che tra gli “esempi contemporanei di antisemitismo nella vita pubblica” compare quello consistente nel “Negare agli ebrei il diritto dell’autodeterminazione, per esempio sostenendo che l’esistenza dello Stato di Israele è una espressione di razzismo”. Questa formulazione di antisemitismo comporterebbe giudicare antisemite le critiche secondo cui certe politiche e le pratiche del governo israeliano violano la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 1965 (ICERD), nonché l’affermazione in base alla quale le autorità israeliane commettono il crimine contro l’umanità di apartheid nei confronti dei palestinesi. Questa formulazione di antisemitismo potrebbe condurre a sanzionare quelli che denunciano e condannano la deriva nazionalista, razzista, autoritaria e genocidaria contro i palestinesi.
Alcuni giornalisti, storici, scrittori impegnati sui temi della storia dell’ebraismo e dell’antisemitismo e legati anche personalmente al mondo ebraico, hanno reso pubblico un documento per spiegare la loro netta contrarietà ai disegni di legge in discussione in Senato. Tra i sottoscrittori citiamo Roberto Della Seta, Anna Foa, Helena Janeczeck, Carlo Ginzburg, Gad Lerner, Bruno Montesano. Valentina Pisanty,Roberto Saviano.
“Riteniamo controproducente, ai fini di un efficace contrasto dell’antisemitismo – si legge nella lettera- introdurre leggi speciali che di fatto lo separano dalla lotta contro ogni forma di razzismo. Stabilire un presunto privilegio di esenzione dalla critica politica ed etica “in favore degli ebrei” (e solo di questi) – che nei fatti tutela solo chi sostiene in modo incondizionato le ragioni di Israele – non può che alimentare nuova ostilità e ulteriore antisemitismo. Quest’ultimo certamente esiste ma va sempre contrastato accanto a islamofobia, razzismo e ogni forma di discriminazione”.
Nel suo ultimo libro la semiologa Valentina Pisanty avverte di come la forza squalificante dell’accusa di antisemitismo ha cominciato ad essere piegata a usi politici di parte. Il problema principale della definizione dell’IHRA è la completa sovrapposizione tra antisionismo e antisemitismo, tra critiche alle politiche di Israele e razzismo antisemita.
“Della possibilità di discutere di cosa è o non è ragionevole è fatta la democrazia. E dato che il linguaggio -scrive Pisanty- è essenziale per prendere decisioni nel dibattito politico, non è tollerabile, in un contesto democratico, che una delle parole-chiave venga prelevata dal lessico, spogliata della sua funzione, rivestita di abiti nuovi, ed esibita al mondo come garanzia di impunità per chi intende affermare le sue ragioni di parte con la forza.
Chiunque impieghi il termine antisemita nel senso imposto dalla definizione IHRA deve sapere in quale catena di prepotenze, non solo linguistiche, si sta collocando. A meno di non prendere atto che il mondo è entrato in una fase di guerra senza quartiere, o si vince o si muore, di cui la retorica della prevaricazione è il naturale corollario.
Forse è sempre stato così, forse no. Se la regola è “lo faccio perché posso”, si smetta almeno di invocare i valori democratici, la Memoria e la falsa promessa del Mai Più, si abbracci senza remore la legge del più forte, ci si assuma la responsabilità delle conseguenze e tanti auguri. Chi non è d’accordo troverà comunque le parole per dirlo. Non occorre alcuna autorizzazione”.