NUNZIO DE PINTO
Un ragazzina di soli 13 anni si suicida nel salernitano, cosa spinge i giovanissimi a queste forme estreme di autolesionismo?
CASERTA – Dalle notizia pubblicate venerdì, 12 gennaio 2018, dalle agenzie di stampa nazionali, una su tutte ha attirato la mia attenzione ed ha suscitato in me sentimenti sconvolgenti per la sua tragicità: “In un quartiere agricolo lungo la statale 19, al confine tra Campagna ed Eboli, in provincia di Salerno, la giovanissima “Natasha”, una ragazzina di soli 13 anni, si è impiccata in casa, ha legato la cintura di una vestaglia a una ringhiera della scala interna, ha creato un cappio e, infine, si è lasciata morire soffocata. Una tragedia che ha sconvolto e sconvolgerà per tutta la vita la sua famiglia incapaci di accettare una simile notizia. Ma cosa spinge una ragazzina di tredici anni, che ha tutta la vita davanti a se, a compiere un tale gesto autolesionista? Sicuramente gli esperti (psicologi, psichiatri dell’età infantile e quant’altri) avranno tutti una diversa chiave di lettura per questo gesto. Non sono uno specialista, sono stato prima padre ed ora nonno, e mi pongo molte domande in proposito, ma di una cosa sono sicuro: molti ragazzi si fanno del male, ma non allo scopo di uccidersi, è solo un modo per richiamare l’attenzione degli adulti. Alcuni ragazzi infatti si sentono particolarmente vulnerabili; essi avvertono che qualcosa nella loro vita non sta andando nel giusto verso e questo li conduce a provare costantemente un forte stato di ansia. Appena qualcosa fuori del comune succede, come ad esempio non riuscire ad entrare in un gruppo, essere derisi dai compagni ecc., lo sconforto può essere tale da spingere verso questo atto estremo. Prendiamo, ad esempio, il bullismo: non è il bullismo in sé a causare ansia nel ragazzo, ma il modo in cui egli reagisce a questi atti di sopraffazione fra compagni. Qualsiasi tipo di risposta, aggressiva o passiva, potrebbe far provare al ragazzo un senso di fallimento, di incapacità. Viviamo nella società dell’immagine soprattutto per colpa dei modelli che ci propone la televisione: per un ragazzo basta un piccolo difetto per sentirsi a disagio, fuori luogo. La reazione può essere depressiva oppure aggressiva; ecco perché sono sempre di più sia i casi di malessere tra gli adolescenti sia fenomeni come il bullismo e le violenze di gruppo”. I ragazzi che tentano il suicidio in genere si sentono poco “normali”, non riescono a fare quello che fanno gli altri o a reagire nel modo opportuno: sono fragili, si fanno prendere facilmente dalla depressione. Il periodo più a rischio è quello che precede l’inizio della scuola superiore. Questo è il momento in cui gli adolescenti tentano di stabilire quale è il loro posto nel mondo, come entità separate e non come semplici “figli di qualcuno”. È questa l’età in cui imparano nuove abilità, come quella di discriminare fra ciò che è socialmente accettabile e ciò che non lo è; è questo il momento in cui rinforzano la loro autostima. Come genitori che conoscono (o almeno spero) fino in fondo i propri figli, dovrebbero accorgersi sin da subito se qualcosa va storto nella vita del ragazzo, mangiano poco, si chiudono a riccio, non dialogano con loro, sono sempre più “incollati” al computer, in classe si tengono in disparte, non frequentano altri amici o amiche e non studiano in gruppo, non amano fare sport. Qui non c’è da fare un processo alla ragazzina, ma a noi genitori. Questa, purtroppo, è una società dove non c’è più tempo per gli adolescenti che ormai hanno la Play Station come badante e la televisione come educatrice. Siamo in un vortice allucinante dove è alterato anche il contatto umano: basti pensare al fenomeno di Facebook che porta i ragazzi a non incontrarsi più e non parlarsi più, ma a delegare tutto a Internet, collezionando “amicizie” per puro narcisismo”. Se i genitori, che generalmente a causa de loro lavoro non sono molto presenti, che conoscono il carattere dei figli vedono che il ragazzo cambia comportamento, diventa aggressivo oppure irritabile, facile al pianto, non bisogna lasciarsi sfuggire l’occasione di tentare di aprire un dialogo ed è bene che lo seguano e lo aiutino a superare il suo periodo di difficoltà. Il primo segno da tenere bene sotto controllo, quello cui devono stare soprattutto attenti, è il silenzio, il ritiro dalla vita sociale.