A CASAL DI PRINCIPE SI RIUNISCE IL MONDO DELL’ANTIMAFIA 24 ANNI DOPO LA MORTE DI DON DIANA

CASAL DI PRINCIPE.  Il mondo dell’Antimafia  si riunisce al fine di  tracciare un percorso di impegno civile per i prossimi dieci anni.

È questo l’obiettivo degli Stati Generali delle terre di don Peppe Diana che avranno luogo a Casal di Principe il 19 marzo, nel giorno del 24 anniversario dell’uccisione di don Giuseppe Diana.

Diversamente dagli altri anni, nessuna marcia o manifestazione di piazza, per ricordare il sacerdote ucciso dalla camorra, ma una riflessione collettiva sullo stato della lotta alla camorra. L’appuntamento è a “Casa don Diana” il bene confiscato che si trova in via Urano a Casal di Principe, gestito dal comitato don Peppe Diana e che è diventato ormai il luogo simbolo della lotta alla camorra.

A partire dalle 9 del mattino, magistrati, rappresentanti delle forze dell’ordine, giornalisti, docenti universitari, sociologi, medici, economisti, amministratori formatori e volontari si riuniranno in due sessioni distinte, per un bilancio aggiornato della lotta alla criminalità e nel contempo si discuterà di come ricostruire le comunità devastate da anni di dittatura camorristica. Una “chiamata alle armi” promossa dal Comitato ispirato a don Peppe Diana e dal coordinamento provinciale di Caserta dell’associazione Libera.

“La camorra come l’abbiamo conosciuta negli anni passati, ormai non esiste più – spiega Valerio Taglione coordinatore del Comitato don Peppe Diana -ma questo non significa che la camorra sia scomparsa. Non sappiano sotto quali forme emergerà. È questo ci preoccupa, perciò vogliamo analizzare con il contributo degli addetti ai lavori l’evoluzione del fenomeno camorristico”.

Nella prima sessione, che ha come tema “Ripartire con regole chiare ed una economia sana”, si parlerà di Pubblica Amministrazione, corruzione, inefficienza e sviluppo locale a partire dall’economia sociale e dal riutilizzo dei beni confiscati; la seconda sessione, dal titolo “Comunità educative, giuste e sane”, affronterà temi come la formazione, il welfare, la giustizia, l’ambiente e la salute.

Le manifestazioni per ricordare don Diana, sono gia in corso. Nel pomeriggio  di ieri   il Magistrato siciliano   Nino Di Matteo che indaga sulla trattativa Stato-mafi e’ stato  intervistato dal giornalista Sandro Ruotolo.

Venerdì mattina alle 10 è previsto il convegno dell’Anpi “Esisto e resisto. Voci di resistenza”, alla presenza di Carla Nespolo, presidente nazionale dell’associazione nazionale partigiani d’Italia.

Domenica mattina sarà allestita la mostra itinerante ideata dal fotografo Giovanni d’Angelo, dal titolo “Il Silenzio degli Occhi- Non Invano”, che dal 18 marzo e fino al 22 aprile invaderà strade e piazze di alcuni Comuni della provincia di Caserta, tra i quali: Casal di Principe, Caserta, Aversa, Santa Maria a Vico, Castel Volturno.

Domenica
18 marzo (ore 18), al Teatro della Legalità di Casal di Principe, ci sarà il concerto in memoria di tutte le vittime innocenti della camorra, molte delle quali ancora aspettano di vedersi riconosciuti dallo Stato indennizzi e risarcimenti. Lunedì alle 19,30 chiuderà le manifestazioni una messa officiata dal vescovo di Aversa monsignor Angelo Spinillo, nella parrocchia di San Nicola di Bari a Casal di Principe, il luogo dove tu ucciso don Diana.

Nino Di Matteo , il Magistrato che Riina voleva morto, e’ n ato a Palermo nel 1961, è entrato in magistratura nel 1991 come sostituto procuratore presso la DDA di Caltanissetta. Divenuto pubblico ministero a Palermo nel 1999, ha iniziato ad indagare sulle stragi di mafia in cui sono stati uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e gli agenti delle rispettive scorte, oltre che sugli omicidi di Rocco Chinnici ed Antonino Saetta; per l’omicidio Chinnici ha rilevato nuovi indizi sulla base dei quali riaprire le indagini e ottenere in processo la condanna anche dei mandanti, riconosciuti in Ignazio e Antonino Salvo, mentre per l’omicidio Saetta otteneva l’irrogazione del primo ergastolo per Totò Riina.

L’attività e le minacce di attentati
Nel corso della sua carriera si è più volte occupato dei rapporti tra cosa nostra ed alti esponenti delle istituzioni. È attualmente impegnato nel processo a carico dell’ex prefetto Mario Mori, in relazione ad ipotesi di reato eventualmente connesse alla trattativa Stato-mafia. Nel corso del processo veniva resa pubblica la minaccia di morte da parte del boss Totò Riina, intercettata dalla magistratura durante una conversazione privata in carcere con un altro recluso: «A questo ci devo far fare la stessa fine degli altri». In seguito alle minacce ricevute Di Matteo è stato sottoposto ad eccezionali misure di sicurezza (compresa l’assegnazione del dispositivo Bomb Jammer), annunciate alla stampa dallo stesso ministro dell’interno Angelino Alfano nel dicembre 2013, elevando il grado di protezione al massimo livello.

Il giudice ha rifiutato però l’uso offertogli di un mezzo blindato Lince, a suo avviso “un carro armato” a tutti gli effetti, non adatto a circolare in un centro abitato.

L’assegnazione del bomb jammer non sarebbe tuttavia stata seguita dall’effettiva disponibilità di un simile accorgimento, secondo il movimento spontaneo di “Scorta Civica”. di cui fanno parte cittadini appartenenti a diverse associazioni antimafia che hanno promosso l’iniziativa del presidio permanente di fronte al Palazzo di Giustizia a Palermo (e in diverse altre manifestazioni in varie piazze italiane) proprio per sensibilizzare l’opinione pubblica sui gravi rischi che corrono quotidianamente i PM come Nino Di Matteo.

Il processo per la strage di via d’Amelio
Di Matteo si occupò delle indagini riguardanti la strage di via D’amelio del 1992. Da pm presso la Procura di Caltanissetta, scelse di dare credito a Vincenzo Scarantino, un ladro d’auto di nessun peso, semianalfabeta, tossicodipendente e non affiliato a Cosa Nostra, ritenuto del tutto inaffidabile da magistrati come Ilda Boccassini e Alfonso Sabella. Di Matteo sostenne che le continue ritrattazioni di Scarantino (di confessioni estorte spesso con metodi violenti, o concordate con gli investigatori) finissero «per avvalorare ancor di più le sue precedenti dichiarazioni».

Di Matteo, assieme ai colleghi Palma e Petralia, chiese e ottenne la condanna di 11 persone completamente estranee all’attentato.

La verità emerse in seguito al pentimento del reale colpevole, Gaspare Spatuzza. La revisione del processo a carico delle 11 persone ingiustamente condannate si concluse nel 2017 con l’assoluzione piena dei 9 ancora in vita.[10]

Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso, lanciò dure accuse alla Procura di Caltanissetta, definita «massonica», e ai pm che si occuparono delle indagini, tra cui Gianni Tinebra, Annamaria Palma, Carmelo Petralia e lo stesso Di Matteo.[11]

Le dichiarazioni sulla politica
In relazione alle indagini sulla trattativa tra Stato italiano e Cosa nostra[12], essendo indagato l’ex senatore ed ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, intercettando le sue utenze telefoniche alla fine del 2011 si venne a registrare anche una o più telefonate da questi intrattenute con l’allora capo dello stato Giorgio Napolitano, verosimilmente ignaro del controllo in corso sull’altro politico. Di Matteo, intervistato da un giornalista, aveva ammesso indirettamente l’esistenza di queste registrazioni, affermando però che non fossero di alcuna utilità processuale e pertanto non sarebbero state utilizzate in dibattimento[13]. Una polemica si accese in ordine alla richiesta del Quirinale di distruggere le registrazioni, che evolse nella sollevazione di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato[14] dinanzi alla Corte costituzionale, presto ammesso[15] e che si sarebbe poi concluso con sentenza di accoglimento delle richieste della presidenza della repubblica[16], cui seguì nell’aprile 2013 la materiale distruzione dei supporti[17].

Nell’aprile del 2014 Di Matteo è stato prosciolto in istruttoria dal procedimento in corso presso la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura (CSM), aperto nel luglio 2012.

Nel successivo mese di maggio, il medesimo CSM ha diramato una circolare nella quale si prescrive che tutti i nuovi fascicoli d’inchiesta sulla mafia debbono essere affidati esclusivamente a chi fa parte della direzione distrettuale antimafia, e questo non era il caso né di Di Matteo né di altri suoi colleghi.

Nel luglio 2014, in occasione della commemorazione della strage di via D’Amelio, Di Matteo ha espresso considerazioni assai critiche nei confronti di Napolitano, di Silvio Berlusconi e anche di Matteo Renzi, Presidente del Consiglio dei ministri in carica, promotore di alcune importanti trattative politiche con il fondatore di Forza Italia, qualche mese prima condannato per illeciti penali; la sortita ha provocato immediate reazioni da parte di esponenti politici di Forza Italia, Nuovo Centrodestra e Scelta Civic.

Onorificenze
Cittadino onorario di Palagonia – 23 maggio 2014
Cittadino onorario di Modena – 2 marzo 2015
Cittadino onorario di Messina – 11 maggio 2015
Cittadino onorario di Gubbio – ottobre 2015
Cittadino onorario di Rivoli – 28 ottobre 2015
Cittadino onorario di Rozzano – 3 giugno 2015
Cittadino onorario di Torino – 8 giugno 2015
Cittadino onorario di Pescara – 1º luglio 2015
Cittadino onorario di Bologna – 26 ottobre 2015
Cittadino onorario di Spoltore – 12 febbraio 2016
Cittadino onorario di Chieti – 15 febbraio 2016
Cittadino onorario di Montesilvano – 15 febbraio 2016
Cittadino onorario di Caselle Torinese – 29 febbraio 2016
Cittadino onorario di Lacchiarella – 7 marzo 2016
Cittadino onorario di Milano – 4 aprile 2016
Cittadino onorario di Trapani – ottobre 2016
Cittadino onorario di Livorno – 19 ottobre 2016
Cittadino onorario di Reggio nell’Emilia – 12 dicembre 2016
Cittadino onorario di Corciano – 13 dicembre 2016
Cittadino onorario di Grosseto – 15 dicembre 2016
Cittadino onorario di Venaria Reale – marzo 2017
Cittadino onorario di Pinerolo – 21 marzo 2017
Cittadino onorario di Locate di Triulzi – 7 giugno 2017
Cittadino onorario di Roma – 25 luglio 2017

«Lo faccio finire peggio del giudice Falcone. Lo farei diventare il tonno buono». Era il dicembre del 2013 e il boss mafioso Totò Riina chiacchierava in carcere con un altro detenuto, durante l’ora di socialità. Il destinatario di quelle minacce di morte era il pm antimafia Nino Di Matteo, allora sostituto procuratore a Palermo e oggi pm della Direzione nazionale antimafia. Un tarlo fisso, quello di uccidere il pm Di Matteo, per il boss di Corleone, arrestato il 15 gennaio del 1993 a Palermo dopo quasi un quarto di secolo di latitanza e morto alle 3.37 di questa notte nel reparto detenuti del carcere di Parma. Ma non era l’unica minaccia a distanza inviata a Di Matteo. Sempre dal carcere erano arrivati diversi ‘silurì al magistrato, oggi il più scortato d’Italia. «Organizziamola questa cosa – sussurrava con tono deciso – facciamola grossa e non ne parliamo più, perché questo Di Matteo non se ne va. Dobbiamo fare un’esecuzione come quando c’erano i militari a Palermo», aveva detto al suo commilitone in un’altra conversazione intercettata in carcere. Nell’estate 2017, dopo un ulteriore peggioramento delle sue condizioni di salute, i legali di Riina avevano chiesto al Tribunale di sorveglianza di Bologna il differimento della pena. Richiesta bocciata. Pochi giorni prima, durante un’udienza del processo sulla cosiddetta ‘trattativà tra Stato e mafia, era stato lo stesso pm Di Matteo a non credere alle gravi condizioni di salute di Riina e a ribadire in aula: «Totò Riina è perfettamente lucido».