“Così,no”. L’urlo di una scuola che DEVE restare umana

Scuola, quel “così,no” che dobbiamo ascoltare – Riflessione di una docente

Quello che è accaduto quest’anno – quattro studenti che hanno scelto consapevolmente di non presentarsi all’orale dell’Esame di Stato – non è solo un episodio. È un segnale, forse piccolo nei numeri ma enorme nel significato. Sono ragazzi che, nel momento cruciale del loro percorso scolastico, hanno detto: così, no. Non per pigrizia. Non per paura. Ma per un rifiuto lucido e critico di un sistema che non sentono più loro. Le motivazioni che li hanno portati a questa scelta meritano attenzione e rispetto: il disagio verso un modello di valutazione giudicante più che formativo, la mancanza di empatia tra studenti e docenti, un clima di competizione e prestazione che spinge a emergere, più che a comprendere. Non è una rivolta contro lo studio, ma una denuncia contro la scuola come ingranaggio, la scuola non può ridursi a un sistema di controllo e selezione, ma deve tornare a essere luogo di relazione, di crescita e di libertà pensante. Eppure la reazione del Ministro Valditara è stata quella che ci si poteva tristemente aspettare: istantanea, punitiva, muscolare. Come un riflesso pavloviano, ha dichiarato che dal prossimo anno chi rifiuterà di sostenere l’orale sarà automaticamente bocciato. Nessun ascolto. Nessuna riflessione sul disagio. Solo sanzione e minaccia. Come se l’autorità potesse sostituire l’autorevolezza. Come se la scuola fosse un tribunale o un campo d’addestramento, e non una comunità educativa. E allora sì, c’è una distanza incolmabile: da una parte chi chiede più umanità, dall’altra chi risponde con norme e diffidenza. E in mezzo ci siamo noi docenti, stanchi, oberati, spesso smarriti, ma ancora capaci di scegliere. Ecco perché, dopo la chiusura di questo anno scolastico difficile e talvolta avvilente, sento che abbiamo un compito per le vacanze: ritrovare il senso del nostro essere insegnanti. Tornare umani. Restare umani. Solo se gli insegnanti tornano ad ascoltare, ad accogliere, a vedere i ragazzi per quello che sono – non per ciò che devono diventare secondo le griglie ministeriali – allora potremo spezzare l’ingranaggio. Basta poco, ma serve coraggio: rifiutare una logica cieca di valutazione, scegliere la relazione prima del rendimento, resistere al cinismo, portare la vita vera in classe. Ogni gesto autentico è un granello di sabbia. E se abbastanza di noi iniziano a gettarne, l’ingranaggio si inceppa. A settembre ci saremo, come sempre. Ma non torniamo uguali. Torniamo motivati, meno passivi, più vivi. Riprendiamo il filo del discorso con i nostri studenti. Non con le griglie e i punteggi, ma con il cuore e la testa. Perché se la scuola non sa ascoltare, non può pretendere di insegnare.
E noi vogliamo ancora insegnare. Ma a modo nostro. A modo umano.