È partita dalla Sicilia la rivolta degli agricoltori ed allevatori italiani. Alcune testate giornalistiche estere, particolarmente olandesi, hanno dato spazio alla notizia, ma in Italia, purtroppo, in pochi hanno ritenuto di doversene occupare. Noi di BelvedereNews al contrario pensiamo sia questione strategica nell’economia del Belpaese. Infatti il comparto agroalimentare risulta essere un elemento di traino per l’economia italiana, con 912.100 occupati in agricoltura, corrispondente a circa il 3,6% degli lavoratori in italiani.
La Sicilia è stata una tra le prime regioni a far sentire la sua voce; abbiamo, quindi, raggiunto telefonicamente Franco Calderone, imprenditore agricolo di Marineo (tra fondatori nel passato dell’ex Movimento dei Forconi), che ha istituito primo presidio di protesta in provincia di Palermo, dando così il via all’attuale dissenso siciliano.
D. Buongiorno. La Sicilia è stata tra le prime, se non la prima, regione a rendere attivo il malcontento degli imprenditori agricoli in Italia, tramite il nuovo movimento da lei fondato (da non confondere col precedente Movimento dei Forconi).
Vuole spiegare ai nostri lettori chi siete?
R. Noi siamo stati i primi in Italia ad organizzare una forma di protesta “sul campo”, perché la Sicilia e i siciliani credono nella concretezza dell’azione. Premetto che, personalmente, essendo stato uno dei fondatori dell’ex Movimento dei Forconi, ho già esperienza nell’organizzazione di questo tipo di manifestazioni, che vogliono essere la propagazione delle dimostrazioni pubbliche avvenute in tutta Europa: in Germania, in Olanda eccetera. Anzi tengo a sottolineare che in Olanda hanno rilevato le nostre manifestazioni, dandone notizia sui loro media.
Anzitutto voglio rispondere alla domanda sulla nostra identità.
Noi non siamo soltanto agricoltori e allevatori, nel senso che non vogliamo esprimere il profondo disagio della sola nostra categoria, bensì il malessere di tutta l’imprenditoria siciliana e nazionale, il che inevitabilmente coinvolge tutta la società. In definitiva il nostro fine ultimo è sollecitare il dibattito sul disagio sociale presente nei nostri territori, ponendo, in primis, l’attenzione sui nostri giovani che, non avendo alcuna prospettiva di lavoro, sono costretti ad andare via. Conseguentemente la prima istanza che abbiamo focalizzato è la permanenza dei giovani nei territori di nascita, nei quali vorrebbero lavorare senza essere obbligati ad emigrare. Questa è una sperequazione riscontrabile nel nostro paese, dove le aziende del meridione subiscono costantemente delle vere e proprie vessazioni, che ne rendono impossibile la sopravvivenza, cancellando ogni possibilità di occupazione nel sud. Voglio denunciare che purtroppo le aziende agricole meridionali sono usate come vera merce di scambio, in quanto, deprimendole e impoverendole, si costringono gli imprenditori a cedere le loro aziende, al cui posto sorgeranno impianti fotovoltaici. In Sicilia, nella zona di Enna, stanno estirpando interi vigneti per sostituirli con impianti fotovoltaici, a favore delle multinazionali dell’energia.
Un altro danno rilevante subito dalla nostra imprenditoria, anche rispetto a quella di altre zone del paese, consiste nella dislocazione della produzione di alcuni prodotti tipici delle nostre regioni meridionali nel Nordafrica, dove peraltro è permessa lavorazione della merce con sostanze cancerogene e nocive alla salute; questa tipologia di produzione ha invaso i mercati europei con il beneplacito di tutti i partiti appartenenti agli schieramenti più diversi. Dunque noi agricoltori meridionali siamo stati ostaggio di questa politica che ha consentito l’invasione nei nostri mercati dei prodotti nordafricani. La nostra lotta quindi, ribadisco, anche in questo senso, riguarda tutti, perché tutti sono e siamo consumatori.
Dirò di più, la questione si va ulteriormente allargando; pensiamo ad esempio alla problematica degli incendi di cui abbiamo notizia ogni estate. Tale scempio avviene anche perché gli agricoltori sono costretti ad abbandonare i loro terreni. L’agricoltore era, un tempo, il tutore dei propri territori, perché regimentava le acque oppure, coltivando i terreni, non permetteva la propagazione del fuoco. La politica avrebbe dovuto prendere coscienza di questa situazione addirittura da trent’anni fa. Una cosa vorrei che sia chiara: chi ci doveva difendere non ci ha mai difeso! Mi riferisco espressamente alla Coldiretti, alla CIA, alla Confagricoltura, a tutte le nostre associazioni di categoria che negli anni si sono sedute ai tavoli governativi più disparati, da chiunque essi fossero composti, non facendo gli interessi di coloro che stavano rappresentando ma i propri.
Questi sono i motivi per cui ho coniato un motto che dovrebbe rappresentarci: “Noi siamo quelli che stavamo cercando!”
Abbiamo demandato per anni le nostre istanze alla politica, ai sindacati, a chiunque si sia proposto per risolvere le nostre problematiche, alla fine di questo percorso ci siamo resi conto che quelli che andavamo cercando siamo noi stessi, cioè siamo noi che dobbiamo creare le condizioni affinché tutto questo cambi.
D. Secondo lei l’orientamento politico dei vari governi, che si sono succeduti, è dovuto alla volontà di favorire economicamente solo una parte del paese, in quanto il mercato del sud è considerato come antagonista e in competizione con quello del nord, oppure è un problema sovranazionale di ingerenza delle multinazionali nelle scelte politiche interne italiane?
R. Il mercato meridionale è stato fatto affondare volutamente, in quanto, ad esempio, se si vanno a vedere gli importi erogati dal governo a sostegno delle aziende agricole, un’azienda siciliana o del meridione prende sui seminativi circa 80 euro, mentre al Nord prendono in alcuni casi tre volte di più. È chiaro che ci sia stata una strategia per affossare l’agricoltura meridionale perché questa disparità di trattamento nei parametri di spesa avviene non in base alla tipologia del lavoro ma in base alla differente collocazione territoriale.
Tuttavia questa strategia discriminatoria che i governi italiani hanno riservato al meridione d’Italia, oggi l’Europa la sta attuando nei confronti dell’Italia stessa. A pagarne il prezzo però è sempre il sud il cui futuro è diventare il parco fotovoltaico d’Europa. Questo azzera la nostra imprenditoria, costringe i giovani ad emigrare, costringe la nostra terra a regalare forze vive, intelligenze, capacità produttive ad altri paesi. Per cui si deduce che effettivamente esiste un piano politico che opera scelte in opposizione agli interessi dei nostri territori, non solo, ma anche alla salute di ogni cittadino italiano. A tal proposito prendiamo per esempio l’importazione obbligata del grano canadese, contaminato da tracce di glifosato, un erbicida il cui uso è consentito in quel paese. Questo modus operandi è stato introdotto in Italia dalla Lega Nord, attraverso la stipula del trattato del CETA, in cui l’unico prodotto meridionale inserito è stato la mozzarella di bufala campana.
D. Ritornando alle vostre manifestazioni, lei ritiene che dalla Sicilia sia possibile un coordinamento ed una azione comune del vostro movimento con altre forze del paese?
R. Le basi su cui abbiamo voluto costruire questo nuovo movimento di popolo in primis tengono conto della credibilità e delle capacità di quanti ne fanno parte. Devo precisare però che ogni azione messa in atto in Sicilia è stata opera esclusivamente del nostro movimento, senza collaborazione con altre forze. Ovviamente non vogliamo ipotecare il futuro e siamo aperti ad ogni possibile collaborazione. Voglio anche chiarire che chiunque abbia intenzione di cooperare con il nostro movimento deve sapere che questo incarna un nuovo umanesimo, dunque, come tale privilegia l’essere umano sotto ogni aspetto, quello della salute, dei diritti, della giustizia, eccetera. È una nuova cultura, un nuovo paradigma esistenziale di riferimento per il mondo produttivo.
D. A partire da ora avete qualcosa in programma? Come si declinerà la vostra lotta da oggi in poi?
R. Mercoledì 17 gennaio 2024 alle 18.00, gli agricoltori, gli allevatori, le famiglie, le piccole e medie
imprese e tutte le persone comuni si incontreranno a Pergusa per stabilire quali azioni programmare per fare risaltare e quindi fare risolvere alla politica le problematiche che ormai affliggono la maggiore parte delle persone. Una crisi provocata da scelte errate dei vari governi regionali, nazionali e soprattutto europei passati e presenti, che ormai attanaglia e costringe ad emigrare i nostri giovani. Inoltre questa comunità europea farlocca sta imponendo il consumo di cibi a volte tossici per l’uso umano, ed ha impoverito tutti i lavoratori, i piccoli imprenditori e le famiglie.
Bisogna dire basta, con decisione e determinazione!