ARTICOLO D’OPINIONE a cura di SALVATORE MANNILLO
Troppo spesso, quando si parla di violenza sulle donne, una delle tante e tra le più urgenti delle nostre piaghe sociali, si definiscono le vittime di quell’odio irrazionale come vittime di un atroce destino. Sarà strano sentirlo dire, ma se c’è qualcosa che, personalmente, mi fa arrabbiare più della stessa violenza, è questa bizzarra etichettatura. E’ questo il modo più comodo per non guardare in faccia all’orribile realtà. Una realtà per cui già il solo mettere insieme i dati risulta difficile. Si rischia infatti di lasciare sempre qualcosa indietro. Per alcuni l’abuso non è violenza, per altri non lo è la molestia verbale. Addirittura uno schiaffo, per qualche retrivo signore, è un mezzo educativo. Educazione. Come se la donna fosse un bambino, un cane, un pappagallo. Come se qualcuno avesse il diritto di poter dire a una donna quel che può o non può fare. E allora cos’è la violenza sulle donne? E’ l’omicidio, lo schiaffo educativo, la palpatina, la battutina o è destino? Le donne non vengono picchiate, nè maltrattate, tantomeno abusate per una sorta di congiunzione fatale. La violenza parte da una precisa volontà di un uomo, un uomo prevaricatore, malato, padrone. Un uomo a cui è stato tramandato un retaggio culturale sbagliato, quello della supremazia. Eppure, dietro ogni uomo c’è un bambino, ed ogni adulto risponde in maniera differente agli stimoli della propria infanzia. La pavidità e l’insicurezza nei confronti del mondo esterno si palesa troppo spesso negli atteggiamenti violenti perpetrati a danno delle proprie mogli, figlie o sorelle. Il rischio di un’educazione votata a dei concetti e a dei limiti della normalità entro i quali è lecito che una donna possa essere non trattata parimenti rispetto all’uomo è un rischio che non possiamo correre. Ma non solo: non possiamo correre il rischio di far passare un’immagine sbagliata, appartenente ad un tempo andato, di una donna angelo del focolare. Ogni bambina e ragazza che cresce nelle nostre scuole e nelle nostre famiglie deve crescere con la consapevolezza di poter essere la protagonista delle società che vive, senza la necessità di un uomo al proprio fianco. Senza la necessità di dover ingoiare il boccone amaro della violenza di un marito padrone, ma fondamentale per la propria sussistenza. Ogni bambina e ragazza deve crescere con la consapevolezza che se vorrà avere una famiglia, essere moglie e madre, lo farà perché spinta dall’amore e da un reciproco e costruttivo rispetto. E’ fondamentale, a tal proposito, un’azione educativa congiunta e forte. Un’azione educativa che sta andando avanti nel nostro paese da qualche anno, anche se ancora in maniera troppo timida. Essa sarà congiunta perché saranno interessate sia le bambine che i bambini; ed essa sarà forte perché spinta dal sentimento più forte dell’umanità: l’amore. E’ nostro dovere fare un investimento sul futuro di tutti noi, è infatti dalle fondamenta che si costruisce una società equa e giusta. Le nostre fondamenta sono le nuove generazioni. Da oggi il nostro compito è sradicare una cultura imperante e malata. Maltrattare una donna è la negazione dei valori non solo della nostra civiltà, ma della nostra umanità. E’ inumano, controsenso, è illogico, ripudiare o annichilire la fonte della nostra esistenza. Trafiggere il ventre che ci ha ospitato alla nascita, che è atto alla procreazione, è semplicemente crudele. Accanto all’investimento sul futuro dei nostri giovani c’è tuttavia un altro imperativo. E’ quello di non lasciare sole tutte coloro che hanno o non hanno la voce per gridare a noi il loro dolore. E’ quello di fare, in maniera concreta, qualcosa per aiutare, per rendere più facile la vita di chi non vuole raccontare fandonie, ma solo la propria terribile condizione. Di fronte ad un aiuto concreto, attento e capillare potremo dire che non è stato il destino a far finire così una donna. Di fronte all’ascolto delle urla di dolore potremo renderci conto che non è il fato a decidere per noi, né nel bene, né nel male. Siamo noi a doverci unire, di fronte alle avversità che ci si presentano, in un’unica grande catena di umana solidarietà.