Quando il nord diventa ancora di salvezza e condanna perenne.

una dedica ai tanti, troppi, che lasciano la propria terra per nuove vie.

La bora continuava a fischiare, mischiata a intermittenti rombi, che provenivano dalla strada adiacente allo stabile dove eravamo alloggiati.

Una camera piccolissima, che serviva ai macchinisti in servizio, che dormivano fuori dalla propria residenza. La stanza fortunatamente calda per la temperatura prossima allo zero, aveva un lavandino per la prima igiene del mattino, mentre i bisogni si facevano nel bagno comune in fondo al corridoio.

Iniziava così la mia seconda giornata triestina, era il 14 gennaio 1986 mentre nella mia mente, tanti, troppi pensieri si affollavano e si rincorrevano, pensando a ciò che avevo lasciato e ciò che mi aspettava. Con il senno di poi, cercavo di pensare anche a ciò che avrei perso e a ciò che avrei guadagnato. Quell’esperienza, arrivata forse un po’ tardi, avevo 24 anni, ha sparigliato per sempre le carte della mia vita mi sono entrati sicuramente, come un immaginario gioco di carte, tanti poker, colore e full, che hanno contribuito al miglioramento caratteriale della mia vita, ma anche tante mani perse, che hanno plasmato il mio carattere rendendolo più concreto e meno sognatore.

Oggi gioco la mia partita in maniera più serena, ma resta una lesione del mio percorso di vita, nell’essere strappato alla propria terra quando la si dovrebbe vivere, compensata da eventi meravigliosi vissuti nel confronto e nella conoscenza, che altrimenti non avrei mai provato, nel conseguire esperienze e nel confronto con altre culture modi di vivere nonché la conoscenza di persone splendide, con cui ho condiviso tre lustri.

Era l’inizio di un’altra vita, quella vissuta al “norde” un Nord un po’ particolare, Trieste è una città che, è stata vittima di barbarie di brutture e di deportazioni, una città, che molto assomiglia a quelle del Sud per sofferenza e voglia di riscatto, fiera e orgogliosa di sé stessa, in lotta perenne con il suo passato. I suoi vicini, nemici o avversari, l’hanno condannata ad una chiusura culturale involutiva. Dapprima gli Iugoslavi, che hanno devastato il territorio rendendola monca dell’Istria, ma anche le deportazioni le foibe e il tanto sangue versato dalla sua gente. I Furlani, i carnici i “talian”, oramai identificati, come gli estranei al territorio e in tutti quelli, che non conoscono, da cui hanno cercato di affrancarsi senza riuscirci del tutto. Trieste è una città di mare, le grandi città marittime soffrono per costituzione dello stesso male, hanno un porto dove approdano merci ed etnie da tutto il mondo e sono “condannate” loro malgrado all’accoglienza.

Cosa mi ha portato così lontano da casa, forse la semplice ricerca di un lavoro, ma forse l’orgoglio di vivere e di ottenere, senza che alcuno avesse un giorno da dirmi: grazie a me hai ottenuto.

Chi lascia la propria terra ne è costretto, raramente lo fa con piacere e mai a cuor leggero, anche se a volte dalla propria terra si è ripudiati, chi parte, porterà il proprio luogo di origine sempre nel profondo del cuore. Il nord spesso diventa ancora di salvezza a scapito di una “condanna perenne“.