Spiccioli di spiritualità, San Giuseppe secondo i Vangeli apocrifi

A cura di Michele Pugliese

Per il consueto numero domenicale della rubrica “Spiccioli di spiritualità” diretta dal prof. P. Vitale, il prof. Michele Pugliese ci parla di San Giuseppe secondo i vangeli apocrifi

Chi non ha un familiare o un amico o un conoscente che non si chiami Giuseppe? Si tratta di uno dei nomi più diffusi in Italia, e anche all’estero, legato alla tradizione e alla fede, con forme regionali e diminutivi come Peppe, Peppino, Pino, Beppe. La forma femminile, Giuseppina, è anch’essa molto popolare, spesso ridotta in Pina o Peppina.
Tra i santi che portano questo nome, oltre al classico Giuseppe natalizio, si annoverano Giuseppe da Copertino, Giuseppe d’Arimatea, Giuseppe Moscati, Giuseppe Puglisi, Giuseppe Sarto (Pio X), Giuseppe Benedetto Cottolengo, e mi fermo qui perché l’elenco è ancora lungo.
Anche nella Bibbia il nome Giuseppe è frequente, a cominciare dal famoso Giuseppe figlio di Giacobbe venduto dai fratelli. Poi abbiamo un paio di Giuseppe nella genealogia di Gesù che ne fa l’evangelista Luca, ma Giuseppe era anche uno dei “fratelli” di Gesù (Matteo 13, 55), mentre un altro Giuseppe, originario di Arimatea, uomo molto ricco, offrì il suo “sepolcro nuovo” per accogliere il cadavere del maestro. L’ultimo Giuseppe biblico è Giuseppe Barsabba, detto “il Giusto”, candidato con Mattia a prendere il posto di Giuda il traditore tra gli apostoli.
Ritornando al Giuseppe evangelico, notiamo che egli entra in scena in modo discreto e silenzioso quando, già fidanzato a Maria (ma il fidanzamento a quel tempo era già un vero e proprio matrimonio), ma prima che andassero a vivere insieme, viene a sapere che la sua futura sposa è incinta. Essendo un uomo giusto, non volendola ripudiare come era previsto dalla Legge, decide di licenziarla in segreto, senonché, avvertito in sogno dall’angelo che il suo concepimento è avvenuto per intervento divino, la prende come sposa. La sua diventa dunque una paternità “putativa” (apparente).
La tradizione pittorica posteriore farà di lui un vecchietto col bastone, in adorazione anch’egli di quel bambino misterioso. Egli entra in scena in una breve notazione del vangelo di Matteo, in chiusura della solenne genealogia che fa di Gesù un discendente del grande re Davide: “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo” (cap. 1, v. 16). Questa genealogia è organizzata in tre blocchi di 14 nomi, un numero perfetto. Le lettere ebraiche hanno anche un valore numerico, cioè non ci sono simboli per indicare i numeri, sono le lettere stesse che li indicano: ebbene le lettere ebraiche del nome Davide (d-dalet-4 + w-vav-6 + di nuovo d-dalet-4) danno come somma proprio 14, che corrisponde al numero dei tre blocchi che formano la genealogia. La Bibbia è entusiasmante perché tra le sue pieghe contiene queste notizie misteriose.
Un’altra funzione molto importante nel sistema giuridico ebraico era quella di dare il nome al figlio ed è quanto fa Giuseppe imponendogli il nome Gesù, anche questo suggerito dall’angelo, nome che significa “Dio salva”. L’ulteriore storia di Giuseppe è nota: giunti a Betlemme a causa del famoso censimento, alloggiano in una grotta-stalla (le grotte attorno alla città erano di solito adibite a stalle), Maria partorisce Gesù che viene visitato prima dai pastori presenti là attorno, e poi dai Magi venuti dall’oriente. Quindi scappano in Egitto perché il malvagio re Erode cerca il bambino per ucciderlo e dopo qualche anno fanno ritorno a Nazareth. Se il racconto biblico si conclude sobriamente con poche indicazioni, la devozione popolare dei primi cristiani abbellirà la storia di notizie fantasiose che confluiranno nei cosiddetti “vangeli apocrifi”. In questi racconti Giuseppe, prima di sposare Maria, sarebbe vedovo con quattro figli e due figlie (sarebbero questi i fratelli di Gesù di cui parla Matteo?). La scelta dello sposo di Maria sarebbe avvenuta tramite concorso di altri pretendenti e Giuseppe sarebbe stato il prescelto perché il suo bastone fiorì improvvisamente (così viene raffigurato spesso nei santini) o, secondo un’altra tradizione, dal bastone sarebbe uscita una colomba. Sempre secondo gli apocrifi, nel suo viaggio in Egitto Gesù sarebbe stato ossequiato da draghi, leoni, leopardi, e gli idoli dei templi pagani sarebbero crollati al suo passaggio. Quando si stabilirono a Nazareth, Giuseppe si trova a fronteggiare le stranezze di un figlio piuttosto irascibile, che è pronto a far morire i suoi compagni di giochi che lo facevano arrabbiare, salvo poi resuscitarli, così come – secondo il Vangelo di Tommaso nella sua versione latina e georgiana – Gesù avrebbe fatto morire all’istante anche il suo maestro Zachia che aveva osato percuoterlo a motivo della sua sapienza e poi lo avrebbe risuscitato, anche questa volta grazie all’intervento di Giuseppe. Ancora, Gesù aiuta suo padre nella bottega di falegname ma un garzone piuttosto inetto (c’erano dei dipendenti in bottega: Giuseppe doveva essere una sorta di piccolo imprenditore del legno) aveva malamente intagliato un letto matrimoniale, ma Giuseppe, sapendo che Gesù poteva fare tutto, gli chiede di sistemarlo miracolosamente, cosa che Gesù puntualmente fa.
Questi episodi ingenui ci fanno sorridere, ma i vangeli apocrifi contengono anche storie di grande dolcezza e spiritualità. La “Storia di Giuseppe il falegname”, riporta le pagine più intense dell’agonia e della morte di Giuseppe, divenute poi una fonte preziosa per l’arte cristiana. Secondo questa storia, Giuseppe ormai vegliardo (aveva 111 anni) è vegliato da Maria e Gesù il quale pronuncia queste parole: “Io tenni le sue mani per tutto lo spazio di un’ora, ed egli voltando la faccia verso di me mi indicava di non abbandonarlo. Anche mia madre vergine gli toccò i piedi. Sentendoli smorti e privi di calore, mi disse: mio amato figlio, ormai i suoi piedi cominciano a raffreddarsi e imitano il candore della neve… io e Maria, mia madre, piangemmo con i figli di Giuseppe”. Era il 26 del mese ebraico di Av (giugno-luglio), e sulla base di questa datazione apocrifa la liturgia greco-ortodossa celebra la festa di San Giuseppe il 20 luglio.
Concludo con le parole di un vescovo francese Bossuet, scrittore e teologo francese del XVII secolo: “Giuseppe, col tuo silenzio parli a noi uomini dalle molte chiacchiere; con la tua modestia sei superiore a noi uomini dai mille orgogli; con la tua semplicità comprendi i misteri più nascosti e profondi; col tuo nascondimento sei stato presente ai momenti decisivi della storia dell’uomo. Sapevi che per custodire il grande mistero entrato nella tua casa era necessario essere giusto e forte, puro e sobrio, sereno e santo”.