Spiccioli di spiritualità, San Luigi Gonzaga

Per la consueta rubrica “Spiccioli di spiritualità” diretta dal prof. P. Vitale, il prof. Michele Pugliese ci parla di San Luigi Gonzaga
Il nome “Luigi” è tra i più diffusi in Italia, con le varianti “Gigio”, “Gigi”, Giggino” e il femminile “Luigia” o anche “Luisa”: una stima del 1982 indicava che 875.000 italiani erano chiamati così e secondo studi del 2000, basati sui dati rilevati dagli elenchi telefonici (che belli, quando ancora si usavano!), è il sesto nome proprio maschile più diffuso in Italia nel XX secolo.
Tale diffusione è dovuta al culto di vari santi che portano questo nome, tra i quali però il più conosciuto e il più venerato è San Luigi Gonzaga, giovane marchese, nativo di Castiglione delle Siviere (Mantova) nel 1568, figlio primogenito del nobile marchese Ferrante Gonzaga e di Marta Tana di Santena da Chieri, che era la dama favorita della regina Elisabetta di Valois.
Siamo nel XVI secolo e l’Europa è governata da un’aristocrazia che si crogiola tra feste, banchetti e frivolezze varie, oltre al mestiere delle armi, praticato dai maschi delle grandi famiglie (le guerre ahimè non sono mai mancate). Ma è anche il secolo della Controriforma cattolica, che porta una ventata di spiritualità e rigorismo in una Chiesa devastata dallo scisma di Lutero, è un’epoca segnata da un risveglio culturale senza precedenti in cui operano Raffaello e Michelangelo, Ariosto e Tasso e risuonano le note di Monteverdi e di Pier Luigi da Palestrina.
In questo fervore culturale e di rinnovamento, nulla però cambiava tra le dinamiche delle case regnanti e tra i nobili. Luigi, come si conveniva a quel tempo, era destinato come primogenito a proseguire la dinastia dei Gonzaga, con un matrimonio di convenienza con la figlia nientedimeno di Francesco de’ Medici, che era senz’altro un partito ideale per le fortune della casata. Ma i sogni del padre Ferrante saranno infranti della scelta di Luigi che già da bambino era sì un paggetto grazioso e fragile, orante e penitente, ma anche intelligente, ricco di sensibilità e di forza, dal carattere deciso e rigoroso, in mezzo a un mondo fatto di avarizia, insensibilità, sete di potere.
Luigi non si trova bene nel suo falso perbenismo aristocratico, e reagisce a modo suo: prega e ama i poveri, si rende conto della corruzione di corte, è capace di difendere il suo cattolicesimo e nelle sue scelte è guidato da grandi ideali. Sarebbe un grosso errore voler ridurre la figura di Luigi a quella di un adolescente angelico, come pure l’hanno raffigurato certe immagini postume. Egli stesso si paragonò a “un pezzo di ferro contorto che doveva essere raddrizzato” attraverso la vita religiosa. Infatti aveva un carattere volitivo, brusco, indipendente, per nulla incline alle fantasticherie sentimentali. I suoi progetti erano sempre basati su una riflessione approfondita e si era imposto il principio che ogni qualvolta iniziasse una cosa “l’avrebbe portata a termine con la maggiore perfezione possibile”. E questo in una corte italiana del XVI secolo che non incoraggiava affatto l’umiltà, la castità e tanto meno la povertà.
Un incontro fondamentale nella sua vita fu quello con il cardinale Carlo Borromeo, apostolo della riforma tridentina, dal quale ricevette la prima comunione e venne a contatto con la spiritualità dei Gesuiti. Entrare nella Compagnia di Gesù, per la possibilità delle missioni, per il voto di povertà e il divieto di accettare qualsiasi dignità ecclesiastica, corrispondeva perfettamente alle sue aspirazioni. Restava solo da convincere il padre marchese Gonzaga. Furono necessari due anni di lotte accanite e di tempeste familiari prima che il marchese premettesse al figlio di entrare nel noviziato dei Gesuiti. Ma anche dopo tentò di dissuaderlo con distrazioni di tutti i tipi, facendogli visitare le nobili e lussuose corti di Ferrara, Parma e Torino e servendosi di intermediari per esercitare pressioni che lo distogliessero dalla vita religiosa. Ma il giovane non si fece tentare e, animato in una fiducia assoluta, regolava la sua vita come quella di un monaco, tra lo studio della filosofia, la preghiera e le penitenze. Così il padre cedette e assecondò la volontà del figlio, facendogli firmare un atto di rinuncia a tutti i suoi diritti successori in favore del fratello Rodolfo. Finalmente Luigi poteva realizzare il suo sogno: partì per Roma dove, all’età di diciassette anni, entrò nel noviziato dei Gesuiti. Anche qui si distinse per umiltà, cercando anche di far dimenticare tra i compagni la sua nobile origine: puliva i corridoi, lavorava nel refettorio, e non disdegnava di uscire per la questua insieme ai suoi confratelli coadiutori. Dopo due anni di noviziato pronunciò i primi voti, sostenne pubblicamente la sua tesi di laurea, poi quelli definitivi, entrando così ufficialmente, all’età di 20 anni, nella Compagnia di Gesù. Anche da Gesuita non tralasciò mai la preghiera, lo studio e soprattutto il servizio del prossimo. Proprio in quel tempo Roma passava un inverno terribile, con la peste e la carestia. Luigi chiese ai suoi superiori il permesso di assistere gli appestati. Per quattro mesi si impegnò senza risparmio, consapevole dei rischi che correva, ma sempre sereno, portando  i malati nelle braccia e curandoli venne contagiato dal male e così nel marzo del 1591 dovette mettersi a letto: la malattia si impadronì rapidamente di lui portandolo tra la braccia del Signore il 21 giugno del 1591.
La devozione per Luigi si diffuse rapidamente, anche grazie ai numerosi miracoli ottenuti per la sua intercessione: presto arrivarono da tutta Europa notizie di guarigioni, di protezioni particolari o di raccolti abbondanti ottenuti tramite la sua invocazione. Raramente la Chiesa ha condotto e concluso un processo di beatificazione in un tempo così breve (1605) e raramente un culto si è diffuso così rapidamente. Poi fu Benedetto XIII a canonizzarlo nel 1726 proponendolo come protettore della gioventù.
Di lui Paolo VI disse nel 1968: “Luigi concepì la sua esistenza come dono da spendere per gli altri”, e Giovanni Paolo II: “Il Padre misericordioso ha concesso a Luigi d’immolare la sua giovinezza in un servizio eroico di carità fraterna”.