Caserta – Nella notte tra il 29 e il 30 giugno, un vasto incendio ha devastato il versante collinare che abbraccia il borgo medievale di Casertavecchia.
Le fiamme, alimentate dal vento e dalla siccità, hanno trasformato il buio in un bagliore inquietante, visibile anche dal centro di Caserta da dove la nostra redazione ha scattato la foto. Ancora una volta, la natura arde e con essa si consuma un pezzo di identità.
Le immagini sono eloquenti: lingue di fuoco che si arrampicano lungo il pendio, mentre la collina si trasforma in un falò di cenere e memoria. Non è la prima volta, e forse non sarà l’ultima, che il nostro territorio viene ferito in modo così profondo.
Quel che rende ancor più grave l’accaduto è il sospetto, purtroppo non infondato, che dietro questi incendi possa esserci la mano dell’uomo. Comportamenti dolosi, deliberati, che non si possono più definire “emergenze estive” ma che assumono i contorni di una strategia criminale, reiterata e impunita.
In queste ore, mentre i vigili del fuoco lottano contro le fiamme e i volontari monitorano i danni, è impossibile non provare un senso di impotenza e rabbia. Perché Casertavecchia non è solo un sito turistico o un agglomerato di case in pietra. È una memoria collettiva, un luogo simbolo, un patrimonio che appartiene a tutti.
C’è un grido che si leva dalle colline: basta.
Basta con l’indifferenza, con l’abbandono, con l’assenza di prevenzione e controllo.
Caserta, con la sua perla Casertavecchia fanno parte di una terra meravigliosa, ma martoriata. Una terra che ha imparato a convivere con troppe ferite: urbanizzazione selvaggia, rifiuti abbandonati, desertificazione culturale.
Gli incendi sono solo l’ennesima manifestazione di un disagio più profondo, che richiede risposte sistemiche, concrete, urgenti.
Dobbiamo pretendere indagini serie, pene esemplari, ma anche progetti di tutela ambientale, coinvolgimento delle comunità locali, educazione al rispetto del territorio.
La collina brucia, e con essa brucia la nostra coscienza. Ma se c’è un senso nel raccontare questa ferita è proprio questo: trasformare il dolore in consapevolezza. E la consapevolezza in impegno. Caserta e dintorni non possono essere lasciate soli.