L’Italia ha chiesto di accedere al nuovo fondo europeo SAFE (Security Assistance Fund for Europe) per ottenere fino a 15 miliardi di euro da investire in difesa. Il governo punta a una linea di credito da utilizzare in un quinquennio con rimborsi spalmati su 45 anni, a condizioni agevolate.
Il fondo è parte del piano promosso dalla Commissione Europea per potenziare la capacità militare comune. SAFE raccoglierà risorse sui mercati finanziari e le trasformerà in prestiti a lungo termine per gli Stati membri. I fondi serviranno ad acquistare armi e tecnologie strategiche, ma anche ad avviare gare d’appalto comuni tra Paesi alleati.
La posizione dell’Italia
Roma ha manifestato l’intenzione di utilizzare questi fondi per sostenere programmi già inseriti nel DPF (Documento Pluriennale della Difesa) tra cui sistemi radar, droni, missili e aerei militari. Il governo ha già inviato una richiesta formale e lavora per ottenere l’autorizzazione ad escludere queste spese dal Patto di Stabilità, ovvero dal conteggio ufficiale del deficit pubblico.
Secondo fonti diplomatiche europee, l’Italia si presenta tra i Paesi più interessati allo strumento SAFE, insieme a Polonia, Francia e Germania. In totale, hanno aderito al fondo 18 Paesi dell’Unione, di cui 12 chiedono la possibilità di sforare i vincoli di bilancio per investire nella difesa.
SAFE, PIL e Patto di Stabilità
Il governo italiano non solo ha chiesto i prestiti del fondo SAFE, ma sta anche cercando di far sì che queste spese militari non vengano conteggiate nei limiti del deficit stabiliti dal Patto di Stabilità e Crescita dell’UE. Normalmente, tutte le spese pubbliche, anche quelle per la difesa, entrano nel calcolo del deficit. Il Patto di Stabilità impone che il deficit annuo non superi il 3% del PIL (Prodotto Interno Lordo) e che il debito scenda progressivamente verso il 60% del PIL. Se l’Italia riuscisse a far escludere queste spese, potrebbe aumentare il bilancio per la difesa senza “gonfiare” ufficialmente il deficit, evitando di incorrere in procedure di infrazione o richiami da Bruxelles. Questa deroga non è automatica; serve, infatti, il via libera della Commissione Europea e del Consiglio UE.
Già altri 12 Paesi hanno chiesto lo stesso trattamento per gli investimenti militari finanziati con SAFE.
Obiettivi politici ed economici
Il governo Meloni punta a rafforzare l’impegno dell’Italia nella NATO e ad aumentare la sovranità tecnologica nel settore bellico. Con SAFE, dunque, le autorità contano di sostenere l’industria italiana della difesa, a partire da Leonardo, Fincantieri, Elettronica e altre aziende del comparto. L’operazione rappresenta un’opportunità economica, ma apre anche un confronto politico. Giuseppe Conte con i suoi 5S, osservatori e associazioni pacifiste chiedono maggiore trasparenza e invitano a riflettere sulla priorità attribuita alla spesa militare rispetto a quella sociale. Ricordano che il sistema sanitario e l’economia reale presentano criticità oggettive e che sarebbe più opportuno canalizzare le risorse disponibili in tali direzioni. Gli economisti sollevano, poi, dubbi sulla sostenibilità dell’indebitamento, anche se l’UE dovrebbe garantire condizioni finanziarie più favorevoli rispetto all’emissione di titoli di Stato.
Prossimi sviluppi
L’Italia attende la risposta ufficiale da Bruxelles nelle prossime settimane. Intanto si definisce il quadro tecnico e normativo del fondo SAFE, che rappresenta una novità assoluta nella storia finanziaria dell’Unione. Per la prima volta, Bruxelles emetterà debito comune per finanziare armi. Come dire: necessità, virtù.
Il dibattito è appena iniziato. Nei prossimi mesi, le scelte concrete del governo diranno se si tratta solo di un’opzione tecnica o di un cambio di rotta duraturo nella politica economica e militare del nostro Paese.
La seconda opzione sembrerebbe essere quella più accreditata.