Spiccioli di spiritualità, Kosher e altre prescrizioni alimentari

A cura di Michele Pugliese

Per il consueto numero domenicale della rubrica “Spiccioli di spiritualità” diretta dal prof. Pasquale Vitale, il prof. Michele Pugliese ci parla di Kosher e alimentazione nelle religioni.

Kosher è una parola ebraica che indica un metodo di macellazione che deve essere rapido, il più possibile indolore e deve assicurare il dissanguamento completo degli animali perché è proibito mangiare il sangue. L’ebraismo, la più antica religione monoteista del mondo occidentale, fondamentalmente ritiene l’uomo vegetariano e consente il consumo soltanto di alcuni alimenti di origine animale e in particolare degli animali ruminanti che hanno lo zoccolo spaccato (sostanzialmente bovini e ovini). È consentito il consumo dei volatili ed anche dei pesci, ma soltanto quelli con pinne e squame. È severamente proibito il consumo di carne dei suini (cinghiale e maiale) e anche del coniglio. Anche la cottura deve avvenire nel rispetto di norme e tra queste deve essere evitata la cottura delle carni insieme al latte. Non esistono limitazioni al consumo di alimenti di origine vegetale ed il consumo di bevande alcoliche è consentito.
Nelle religioni l’alimentazione ha un ruolo di fondamentale importanza ed ognuna di esse indica delle prescrizioni che ogni fedele deve seguire. Siamo nel periodo della Quaresima e tradizionalmente i cristiani (almeno quelli osservanti) non mangiano la carne il venerdì. In realtà le cose stanno in modo più articolato. I giorni di digiuno – ovvero nei quali non si può mangiare niente, se non qualche piccolo alimento per sostenersi – sono solo due: il mercoledì delle ceneri e il venerdì santo. Negli altri venerdì si osserva la regola dell’astinenza, che comunque non deve essere necessariamente riferita alla carne, ma anche a qualche altro tipo di cibo. Il resto dell’anno non ci sono particolari divieti alimentari, se non per qualche occasione particolare, come segno di testimonianza contro situazioni contingenti, tipo la guerra.
Nella tradizione ortodossa, il digiuno, come regola alimentare, conosce vari risvolti. Normalmente, durante la Quaresima, sono permessi i cibi di origine esclusivamente vegetale e soltanto il sabato e la domenica possono essere preparati con olio, e si può anche bere un bicchiere di vino, vietato negli altri giorni. Stessa regola nell’Avvento, ma si può mangiare pesce il sabato e la domenica. La stessa regola si applica anche in altre feste e in alcune c’è anche un digiuno assoluto nel quale non si mangia niente e non si beve nemmeno l’acqua fino al tramonto del sole, mentre la sera si mangia solo pane e si beve acqua.
La religione islamica proibisce la carne di maiale e suoi derivati (salumi ed insaccati crudi o cotti). È consentito il consumo di carne bovina purché la macellazione avvenga con il metodo ‘Halal’ che deve limitare al massimo la sofferenza degli animali e garantirne il dissanguamento. Sono proibite le bevande che si ottengono dalla fermentazione (vino, birra, aceto). Durante il mese del Ramadan da due ore prima dell’alba a due ore dopo il tramonto è previsto il digiuno totale, ad eccezione dei bambini che sono esentati fino alla pubertà. Gli Sciiti ed i Sufi considerano l’alimentazione vegetariana come una regola di vita permanente.
Gli induisti, ritenendo sacra ogni forma di vita animale, sono rigorosamente vegetariani. In particolare la mucca è considerata sacra. L’alcol è proibito ai bramini e ai sacerdoti, ma non agli altri fedeli. Durante le vigilie di numerose ricorrenze sacre è previsto il digiuno. Prima di invitare a pranzo o a cena un induista è quindi bene verificare questa evenienza ed eventualmente cambiare giorno il giorno dell’invito.
Secondo la regola del Buddha essere vegetariani è indispensabile per raggiungere saggezza e compassione. Tuttavia dopo la sua morte i discepoli ammorbidirono questa posizione e i buddisti di oggi non hanno limitazioni particolari. Solo i monaci Zen hanno mantenuto un regime alimentare rigorosamente vegetariano.
Ma perché il cibo è, per gran parte delle religioni, un valore oltre che una fonte di sostentamento? Esse considerano il cibo un dono del divino, il che dovrebbe richiamare tutti a non dare per scontata la disponibilità del cibo e a non ridurre i pasti a una successione di gesti automatici. Numerose sono le azioni di lode, benedizione, ringraziamento e preghiera sul cibo e per il cibo, abitudini che avevano le civiltà arcaiche, legate al mondo dell’agricoltura, e quindi che riconoscevano il valore del cibo come dono di Dio, essendo la terra coltivata sotto i capricci della meteorologia, abitudine invece che abbiamo perso oggi che il cibo è a disposizione in grande abbondanza (ma non in tutte le parti del mondo).
Come il consumo di cibo, anche la rinuncia ad esso ha un valore sacrale e spesso comunitario: è incontro con il divino e unione con gli altri credenti. Spesso si pone anche l’accento sulla consapevolezza che il cibo è un dono che molti non hanno; sentire la fame può aiutare a essere più generosi con chi non può permettersi neppure un pasto al giorno a un invito a non dimenticare l’opera del Creato e gli impegni che gli uomini hanno verso ciò che li circonda.