È una presenza sempre più ricorrente in città quelle delle antenne per telefonia mobile. Intorno a queste infrastrutture continua però a ruotare un dibattito che, da anni, coinvolge cittadini, scienziati, enti regolatori e amministratori locali.
Al centro della discussione vi è una domanda fondamentale: le onde elettromagnetiche emesse da queste antenne potrebbero avere effetti sulla salute umana?
L’incertezza scientifica e il principio di precauzione
Ad oggi, una parte della comunità scientifica sostiene che, nei limiti stabiliti dalla normativa vigente, l’esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza (RF) non avrebbe evidenze certe di pericolosità per la salute. Tuttavia, altri studi ipotizzerebbero potenziali correlazioni tra esposizione prolungata e l’insorgenza di disturbi quali insonnia, cefalee ricorrenti e irritabilità.
Si tratta di ipotesi non universalmente condivise e neppure validate in modo univoco. Proprio per questo, diversi esperti richiamano al principio di precauzione, che invita a limitare l’esposizione laddove non vi sia piena certezza scientifica sui rischi.
Le linee guida internazionali e la situazione italiana
Le soglie di esposizione sono regolate a livello internazionale dalla International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection (ICNIRP). Queste ultime sono state recepite nei limiti stabiliti in Italia dal recente DPCM 8 luglio 2003. Tali limiti, nel nostro Paese, risultano in alcuni casi più restrittivi rispetto ad altri Stati europei. Ciò sta determinando periodici dibattiti su eventuali allentamenti normativi in nome dello sviluppo tecnologico, in particolare del 5G.
Anche l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), un organismo dell’OMS, ha proceduto ad una classifacazione dei campi elettromagnetici a radiofrequenza fin dal 2011. Li ha individuati come “possibilmente cancerogeni per l’uomo” (gruppo 2B), al pari di sostanze come il caffè e i gas di scarico dei motori a benzina. Una classificazione che non implica certezza di nesso causale, ma invita a ulteriori studi.
L’inquietudine nei quartieri e le richieste di trasparenza
In molte città italiane, comitati civici spontanei segnalano preoccupazioni legate all’installazione di nuove antenne. Si chiedono informazioni preventive, rilevazioni ambientali indipendenti, coinvolgimento delle amministrazioni locali nei processi decisionali. La richiesta, spesso condivisa da parte del mondo associativo, è quella di una maggiore trasparenza e di un dialogo costruttivo tra cittadini, enti pubblici e operatori delle telecomunicazioni.
Secondo alcuni osservatori, la rapidità con cui le nuove tecnologie vengono introdotte non sarebbe sempre accompagnata da un adeguato monitoraggio a lungo termine degli effetti ambientali e sanitari. C’è chi propone di affiancare alla spinta all’innovazione un sistema di sorveglianza epidemiologica più attento e capillare, magari coordinato da enti terzi con funzioni di garanzia.
Un equilibrio possibile?
Il dibattito resta aperto, e si muove lungo il crinale delicato tra progresso tecnologico e tutela della salute. In attesa di studi conclusivi e condivisi, alcune amministrazioni comunali stanno adottando piani regolatori per le antenne, cercando di coniugare l’esigenza di copertura di rete con quella di una distribuzione “ragionata” degli impianti, evitando concentrazioni eccessive vicino a scuole, parchi pubblici e ospedali.
L’argomento, per sua natura tecnico e complesso, chiama in causa anche il ruolo del giornalismo: quello di informare in modo documentato, restituendo le diverse posizioni senza allarmismi, ma neppure con superficialità. La scienza – si sa – evolve. Ma il diritto dei cittadini a essere ascoltati e informati rimane, sempre, un punto fermo.