La scultura è apparsa nei giorni scorsi a Napoli in Piazza Municipio, in un suggestivo contrasto visivo con il Maschio Angioino alle spalle. L’opera, tra le più note del maestro dell’arte povera, nasce nel 1967 e si è evoluta nel tempo fino a diventare simbolo universale del dialogo . Un dialogo, spesso scontro, tra l’estetica ideale e il degrado materiale tra cultura alta e vita quotidiana. E Napoli, con la sua storica stratificazione di bellezza e disordine, diventa cornice perfetta per questa riflessione artistica e sociale.
Il gesto è semplice e potente: una statua che richiama la Venere greco-romana, emblema di perfezione e armonia, si poggia su un mucchio di stracci, oggetti carichi di memoria, scarto della civiltà dei consumi. Non è solo uno sfregio simbolico, ma un atto di relazione: la Venere non si limita a guardare, entra in contatto con quel mondo, lo tocca, lo sostiene. Lo riconosce.
La scelta di Napoli non è casuale. Dopo l’incendio doloso che nel 2023 distrusse la Venere installata a Piazza del Municipio, l’attuale riproposizione si carica di significati nuovi. Non solo resistenza dell’arte alla barbarie, ma anche capacità della città di rigenerare bellezza e senso proprio là dove sembrava tutto perduto.
Per i passanti, turisti o napoletani, l’incontro con quest’opera è spesso spiazzante. Alcuni sorridono, altri fotografano, molti si fermano in silenzio. È un’arte che parla, che interpella, che chiede di essere interpretata. In un tempo dominato dall’effimero digitale, Pistoletto ci ricorda con stoffa e marmo che anche lo scarto può essere monumento, e che la bellezza non abita solo l’ideale, ma anche il vissuto.
Napoli, ancora una volta, non guarda l’arte dall’alto, ma la vive nel cuore pulsante della città. E la Venere degli stracci, piegata ma non sconfitta, continua a parlarci del nostro presente.