Lido di Venezia – È stato un Leone d’Oro che non ha avuto paura. Nessuna concessione al glamour, nessuna distrazione estetica: la 81ª Mostra del Cinema di Venezia ha offerto al mondo un cinema profondamente politico. Non quello dei proclami, ma delle storie che scorticano la pelle, che mettono a nudo la società quando si fa più ingiusta, più cieca, più indifferente.
Pedro Almodóvar, Maura Delpero, Dea Kulumbegashvili, le sorelle Coulin: voci diverse, ma unite da una tensione etica che attraversa la selezione ufficiale come un filo rosso. In un’Europa sempre più inquieta, il cinema – quando sa rischiare – torna ad avere una funzione civile. E questa edizione ce lo ha dimostrato senza retorica, ma con opere vive, dense, spesso scomode.
La stanza accanto: Almodóvar e la sovranità sul proprio corpo
Nel film che ha conquistato il Leone d’Oro, La stanza accanto, due donne scelgono di morire. Lo fanno insieme, nella consapevolezza, nel rispetto reciproco, nel desiderio di non essere più oggetto ma soggetto della propria esistenza. Julianne Moore e Tilda Swinton incarnano un’amicizia e un gesto che interrogano tutti: è davvero possibile, oggi, scegliere una fine dignitosa?
Almodóvar non urla, non provoca: mostra. E così inchioda lo spettatore alle sue responsabilità morali. Lo fa con la grazia dolorosa di chi sa che il personale è politico. E che non ci può essere civiltà dove il dolore è delegittimato o ignorato.
Vermiglio: la maternità come stigma sociale
L’Italia risponde con Vermiglio, il film di Maura Delpero che racconta una giovane donna, Lucia, in un Trentino del dopoguerra, giudicata e isolata perché madre fuori dal matrimonio. Ma è chiaro: quel Trentino del 1944 non è poi così lontano dall’Italia del 2024.
Delpero non gira un film d’epoca. Gira un film sulla vergogna come strumento di controllo, sul patriarcato come cultura non ancora scardinata. Lucia è molte donne: invisibili, colpevolizzate, lasciate sole a fronteggiare norme che proteggono più l’ipocrisia che i corpi. E il film ce lo ricorda con la forza gentile della verità non gridata.
April: aborto clandestino, violenza legalizzata
In April, l’aborto non è una parola astratta, ma un atto compiuto in case malandate, sotto la minaccia della legge, in un contesto dove essere donna significa essere criminale per il solo fatto di esistere. La Georgia raccontata da Dea Kulumbegashvili è violenta nella sua apparente normalità.
Il fatto che il film sia stato girato di nascosto dice già tutto. E ci riguarda da vicino: in Italia cresce il numero degli obiettori, in molte regioni l’accesso all’IVG è compromesso. Guardare April è fare i conti con quello che succede quando le istituzioni abbandonano le donne e delegano la tutela della vita alla coercizione.
Jouer avec le feu: il fallimento politico delle periferie
Vincent Lindon interpreta un uomo che scivola nel fuoco della rabbia sociale. Jouer avec le feu, delle sorelle Coulin, non è solo un film sulle proteste francesi: è una riflessione su come lo Stato democratico può diventare complice del proprio sgretolamento quando ignora le sue fratture.
È un film sull’invisibilità, sul disagio che non trova canali di rappresentanza, sulla violenza che esplode quando la parola viene sottratta. Una storia europea, ma – anche qui – drammaticamente applicabile alle nostre periferie, alle nostre crisi sociali taciute.
Una Mostra senza equivoci: arte e responsabilità
Il festival ha anche celebrato Tim Burton, Sigourney Weaver, e ha fatto spazio al cinema d’autore più classico. Ma la linea è stata chiara: al centro, le storie che contano. Quelle che non offrono certezze, ma domande. Quelle che non chiudono, ma aprono ferite.
Nel tempo del dibattito semplificato e delle narrazioni prefabbricate, la Mostra di Venezia ha scelto la complessità. E lo ha fatto lasciando parlare i corpi, i margini, le contraddizioni. Dando voce a chi, nella realtà, viene troppo spesso silenziato.
Da Venezia a Caserta
Venezia sembra lontana. Un altro mondo, un’altra Italia. Eppure, tutto ciò che è salito sul grande schermo al Lido riguarda anche noi, qui, a Caserta. Quando si parla di donne lasciate sole, di maternità come condanna sociale, di giovani che non trovano spazio se non nella rabbia, di vite che implorano rispetto fino all’ultimo respiro, ebbene, stiamo parlando anche di quello che succede da noi. Di quello che accade, talvolta nell’indifferenza di alcuni, nei nostri quartieri, nelle nostre famiglie. Siamo abituati a voltare pagina in fretta. Ma è opportuno ascoltare, capire così da poter scegliere.
Venezia è vicina dunque, non tanto sui film, ma perché aiuta a non normalizzare l’ingiustizia e ad evitare che la mancanza d’indignazione porti a far parlare gli altri anche di noi stessi.
Se non si ha un minimo d’interesse politico, probabilmente, la politica “s’interesserà” negativamente di chi ostenta questo stesso disinteresse.