Per il consueto numero domenicale della rubrica “Spiccioli di spiritualità” diretta dal prof. P. Vitale, il prof. Michele Pugliese ci parla della kumari patan.
Immersi nella nostra cultura Occidentale, così in genere chiamiamo quella europea, americana e australiana, spesso conosciamo pochissimo di quella Orientale (così chiamiamo quella dalla Turchia in poi verso est, che comprende comunque territori vastissimi come il medio-oriente, la Cina, il Giappone e così via).
Fatta questa premessa, vorrei inoltrarmi in Nepal, un paese dell’Asia meridionale confinante a nord con la Cina e a sud con l’India, più conosciuto per i templi e per la catena montuosa dell’Himalaya, dove si trova il Monte Everest. La capitale Kathmandu è piena di santuari induisti e buddisti. Nella valle attorno a Kathmandu si trova il tempio buddista Swayambhunath, altrimenti noto come il “Tempio delle scimmie”, per il numero cospicuo di scimmie che lo animano e per la gioia dei turisti che offrono loro le banane di cui sono ghiotti. Poi c’è il Boudhanath, gigantesco stupa buddista. Lo stupa è il monumento buddhista per eccellenza dove è presente l’immagine o la manifestazione del Buddha.
Un altro tempio molto importante è quello di Pashupatinath, che si trova lungo il corso del fiume Bagmati, a Kathmandu. È uno dei sette gruppi di monumenti che permettono alla valle di Kathmandu di essere considerata patrimonio dell’umanità. La caratteristica principale è che fuori del tempio, lungo le rive del fiume si svolgono quotidianamente le cerimonie funebri, con i cadaveri che vengono cremati sulle pire prima della dispersione delle ceneri nel fiume.
Ma la cosa più sorprendente in questo magnifico paese, sospeso tra la bellezza delle montagne e dei suoi siti, è che esiste un posto in cui la divinità non è rappresentata in forma di scultura o dipinto, ma è un vero e proprio essere umano, o meglio una bambina, una “bambina-dea”. Sto parlando della “Kumari”. Viene scelta, con particolari rituali, tra le bambine di tre anni e resta tale fino all’inizio dell’adolescenza, precisamente fino al momento della prima mestruazione poiché la fuoriuscita di sangue dal corpo è considerata come perdita dell’energia femminile che governa l’universo.
Attualmente sono molte le Kumari presenti in Nepal, ma la più famosa è quella di Patan, che nel tempo è diventata una figura importante per la legittimazione del potere politico: simbolo di unità nazionale, è venerata da tutta la popolazione nepalese.
Ma la Kumari è anche un’attrazione turistica e così ogni giorno sono moltissimi gli stranieri che, a orari stabiliti, affollano il cortile del palazzo per farle visita. Naturalmente ci sono delle persone che organizzano questo culto e Gautam è il custode e tutore della Kumari. Lui e la sua famiglia si occupano del benessere della dea: ogni mattina la vestono (sempre di rosso), le truccano gli occhi, le acconciano i capelli, preparano cibo adatto a lei e sovrintendono alle visite dei devoti. La dea-bambina vive nel palazzo con Gautam e la sua famiglia, mentre i genitori biologici avranno l’onore di andare a farle visita una volta alla settimana, trattandola con la devozione che si confà a una divinità, e non come una figlia.
Si tratta di una tradizione secolare – e forse fuori dal tempo –, tanto che qualche anno fa alcune organizzazioni internazionali a tutela dei diritti dell’infanzia e i partiti laici del parlamento nepalese ne avevano chiesto l’abolizione, portando la questione alla Corte Suprema dello Stato. Ma la dea, nella cultura nepalese, è considera a tutt’oggi come il supremo simbolo di fede e di coesione nazionale, per cui sono state emanate norme che ne affievolissero questa sorta di reclusione. Così ora la Kumari, oltre al tradizionale team di custodi, ha un maestro personale e può anche andare a fare lezione tre giorni alla settimana in una scuola vicina al tempio e frequentare una classe normale. Dopo la lezione, i bambini si fermano a fare merenda, a giocare con lei, persino a guardare i cartoni animati in tivù.
Tuttavia, queste prove generali di vita reale non bastano ancora a superare il disagio della bambina costretta a vivere una condizione anomala per la sua età, anche se è trattata con tutti gli onori che si possono riservare a una dea, e il reinserimento nella società dopo il periodo passato da “dea” è molto difficile, anche se non mancano donne che si sono laureate e parlano con una certa simpatia della loro infanzia così particolare.
Certo, alla nostra sensibilità di Occidentali tutto questo può sembrare riprovevole, ma chi siamo noi per voler imporre il nostro modo di vivere a culture millenarie che avrebbero magari mille motivi per criticare il “nostro” modo di vivere? Ho cercato solo di descrivere un fenomeno e un aspetto della spiritualità nepalese che, pur tra mille critiche e osservazioni, resta un fenomeno degno di rispetto per un popolo dalla mentalità molto diversa dalla nostra, ma che in queste manifestazioni esprime una grande spiritualità, purtroppo quasi del tutto scomparsa tra noi occidentali.