È morto Goffredo Fofi, intellettuale militante e coscienza critica della cultura italiana

Aveva 88 anni. Il suo impegno ha attraversato la letteratura, il cinema, le politiche sociali e il giornalismo, sempre in difesa delle periferie e delle voci fuori dal coro.

Goffredo Fofi si è spento a Roma all’età di ottantotto anni. Il grande intellettuale italiano è stato una figura di riferimento del Novecento e d’intere generazioni di lettori, studiosi, artisti e militanti. Fofi è stato anche critico, saggista e animatore culturale. In questi contesti ha rappresentato per decenni una voce autonoma, controcorrente, mai addomesticata. La notizia della sua scomparsa è stata diffusa questa mattina.

I primi anni del suo percorso culturale e politico

Nato a Gubbio nel 1937, Fofi visse un’adolescenza difficile che lo avvicinò precocemente al mondo delle marginalità. Già negli anni Cinquanta, fu attivo nel servizio sociale e nella lotta contro l’emarginazione giovanile nel Mezzogiorno. Il suo pensiero si è sempre posto in ascolto delle periferie sociali, culturali e geografiche del Paese. Ha operato da Palermo a Napoli e da Torino a Parigi tra le pieghe del sistema per mostrare ciò che il sistema stesso, secondo i suoi principi, non ha voluto mai vedere.

Giornalista, scrittore, saggista

Fofi è stato una figura eclettica, ma coerente tra diversi ambiti senza mai perdere il senso critico. Tra i suoi contributi nel panorama giornalistico e d’autore ha fondato riviste come Ombre rosse, Linea d’ombra e Lo Straniero e ha scrivendo per testate come Panorama, L’Unità, Il Manifesto, Internazionale e Avvenire. L’analisi culturale e il rigore morale hanno sempre caratterizzato la sua scrittura unanimamente  ritenuta asciutta e tagliente. Ha dedicato pagine memorabili al cinema italiano e mondiale, alla letteratura civile, ai movimenti giovanili, al pensiero libertario e ai maestri dimenticati.

Un intellettuale sui generis 

La sua battaglia culturale non è stata mai fine a sé stessa, tanto da rifiutare ogni forma che sapesse di spettacolo o consumo, preferendo invece una forma come esercizio di coscienza, come strumento per stare dalla parte dei deboli, come lui stesso amava dire. Fofi ha così rappresentato l’esempio raro di un intellettuale che ha scelto l’isolamento anziché il compromesso e la complessità anziché lo slogan.

Tra i suoi libri più noti, Capitale umano, Il cinema italiano degli anni Sessanta, Pasolini, Incontro e scontro, Strane storie, Come in uno specchio e il recente Sotto l’ombra di un bel fiore, una riflessione sul ruolo dell’intellettuale oggi. Nelle sue parole, mai gridate ma sempre nette, c’è sempre stata una sorta d’invito a resistere alla mediocrità e a non accettare ciò che viene dato per inevitabile.

Il suo insegnamento

Goffredo Fofi lascia un’eredità difficile da raccogliere, ma necessaria da custodire, soprattutto in un tempo in cui il pensiero critico appare sempre più marginale. La sua figura ci ricorda che la cultura può ancora essere un atto di coraggio, un gesto politico, una scelta di campo.

Oggi, nel giorno della sua scomparsa, tanti lo ricordano come un intellettuale scomodo, ma forse il termine più adatto per definirlo sarebbe quello di necessario perché ha saputo tenere accesa una luce dove troppi avevano smesso di guardare.