Meloni: “Un milione di nuovi posti di lavoro”. Ma cresce il lavoro minorile, soprattutto al Nord

Mentre il Governo celebra numeri occupazionali record, il terzo Report UNICEF denuncia un boom di adolescenti lavoratori. Trentino-Alto Adige in testa. Un’analisi più onesta della realtà è doverosa.

Nel 2024 l’Italia registra quasi 81.000 minorenni tra i 15 e i 17 anni al lavoro, con numeri triplicati rispetto al 2020. La premier Meloni annuncia un milione di nuovi occupati, ma nessuna parola sulla componente giovanile impiegata troppo presto, soprattutto al Nord.

«Un milione di posti di lavoro in più rispetto a quando siamo arrivati al governo». Con queste parole la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha celebrato, nei giorni scorsi, il risultato occupazionale raggiunto nel suo mandato. Ma mentre la narrazione ufficiale esulta, un dato allarmante emerge dal terzo Report UNICEF: 80.991 minorenni tra i 15 e i 17 anni risultano lavoratori nel 2024. Una crescita esponenziale nel silenzio quasi generale.

Il Nord in “maglia nera”

Non è il Sud, come ci si aspetterebbe, a guidare la classifica del lavoro minorile. Al contrario: è il Nord a registrare le percentuali più alte.

  • Trentino-Alto Adige: 21,63% della popolazione minorile coinvolta

  • Valle d’Aosta: 15,34%

  • Abruzzo: 8,46%

Anche gli infortuni sul lavoro tra i 15 e i 17 anni sono più che triplicati, passando da 5.816 nel 2020 a 18.825 nel 2023, con sei morti in cinque anni.

Sud e Isole: un fenomeno sommerso

Nel Mezzogiorno, invece, la questione è diversa ma non meno grave. I dati appaiono inferiori, ma lavoro sommerso, povertà educativa e dispersione scolastica tracciano un quadro drammatico e spesso invisibile. Secondo UNICEF e Save the Children, 336.000 minori tra 7 e 15 anni hanno avuto esperienze di lavoro, di cui 58.000 in condizioni definite “nocive”.

Un’altra lettura dei “posti di lavoro in più”

L’aumento dell’occupazione minorile solleva una domanda legittima: quale composizione ha realmente quel “milione di nuovi posti”?
Include anche i minori spinti nel mondo del lavoro per ragioni economiche e familiari?
E soprattutto: può un Governo glissare su un fenomeno così diffuso, in crescita e documentato, lasciando che a parlarne siano solo i report delle organizzazioni internazionali?

Le cause: una fotografia sociale

L’incremento del lavoro minorile si intreccia a:

  • Abbandono scolastico precoce, che resta altissimo nel Sud (oltre il 16%)

  • Povertà educativa, aggravata dalla crisi post-Covid

  • Famiglie in difficoltà che, in assenza di supporti pubblici, spingono i figli verso impieghi anche irregolari

L’onestà della politica

In un contesto così complesso, un’analisi occupazionale seria e trasparente dovrebbe affiancare ai numeri trionfanti una valutazione critica delle fasce più vulnerabili coinvolte. Lavorare a 15 anni non può essere considerato “occupazione”: è un indicatore di disagio e, spesso, di mancata tutela dei diritti fondamentali dei minori.

Oltre il visibile

Il lavoro minorile in Italia, oggi, è un’emergenza nascosta dietro il velo dell’ottimismo politico. Serve una strategia nazionale, capace di coniugare crescita occupazionale e tutela sociale, riconoscendo che non tutti i “posti di lavoro in più” sono una buona notizia.