Migliaia di persone hanno invaso pacificamente il cuore della città partenopea per dire “basta” al massacro in corso a Gaza. In una delle manifestazioni più partecipate d’Italia sul tema, Napoli si conferma presidio di coscienza collettiva e simbolo di solidarietà internazionale.
Le immagini, divenute virali sui social, raccontano un corteo intenso, animato da giovani, studenti, associazioni e cittadini comuni. Le bandiere palestinesi hanno colorato le strade del centro storico, tra cori, striscioni e appelli alla pace.
Mentre molte città italiane tacciono o si limitano a timide dichiarazioni istituzionali, Napoli ha scelto la piazza. E lo ha fatto con la forza della sua storia: quella di una città abituata a stare dalla parte degli ultimi
Un grido contro l’inerzia
Il corteo del 6 maggio scorso è solo l’ultima tappa di una mobilitazione che parte da lontano. Oltre mille persone si sono riunite in Piazza Municipio per chiedere le dimissioni del sindaco Gaetano Manfredi e dell’assessora al Turismo Teresa Armato, in seguito al caso che ha coinvolto due turisti israeliani e una ristoratrice napoletana.
La mobilitazione era già cominciata l’anno scorso
Il 10 maggio 2024, gli studenti dell’Università Federico II avevano marciato da Porta di Massa a Piazza Bovio, lasciando sull’asfalto la scritta “All eyes on Rafah”, in risposta all’annunciato attacco israeliano alla città nella Striscia di Gaza. Cinque giorni dopo, il 15 maggio 2024, un corteo di seicento studenti aveva sfilato sul lungomare per commemorare la Nakba, l’esodo palestinese del 1948, dirigendosi verso il Consolato degli Stati Uniti per chiedere la fine degli accordi di cooperazione accademica con Israele.
Il 19 ottobre 2024, in concomitanza con il G7 della Difesa ospitato a Napoli, un’altra grande manifestazione pro-Palestina aveva attraversato il centro cittadino, con momenti di tensione nei pressi di Palazzo Reale. A organizzare l’iniziativa furono centri sociali e associazioni locali, in un clima di crescente indignazione per l’inerzia internazionale.
Contro il genocidio, senza ambiguità
A differenza di altri contesti, dove la parola “genocidio” è ancora tabù o oggetto di ambiguità politiche, Napoli ha scelto una posizione chiara. Le voci levate in strada parlano senza filtri: l’indignazione per le migliaia di vittime civili, per i bombardamenti indiscriminati, per il silenzio dell’Occidente.
“Essere neutrali oggi significa essere complici”, recita uno degli striscioni. E forse è proprio questa la forza del messaggio napoletano: un invito a rompere l’assuefazione mediatica, a ridare dignità alle parole, a riconoscere che il dolore ha diritto di cittadinanza ovunque.
Un esempio per il Paese e quindi anche per Caserta
Napoli non è nuova a queste battaglie. Ma stavolta il suo protagonismo assume un significato più ampio: in un’Italia dove l’opinione pubblica sembra anestetizzata, la mobilitazione napoletana restituisce voce a chi crede ancora nel dovere della testimonianza.
Le domanda ora sono diverse: chi seguirà Napoli? Caserta farà lo stesso uscendo dalla sua zona di comfort? In quante altre città si troverà il coraggio per alzare la testa e uscire dalla zona grigia? Chi riconoscerà che non si può rimanere spettatori quando la storia bussa alle porte?