di Marco Natale
Nelle riflessioni domenicali che Papa Francesco ci rivolge al momento dell’Angelus, si comprende tutta la sua concretezza, la sua vicinanza, in poche parole, non ci fa mai sentire degli estranei. Ci è vicino con il cuore. Lo ha sottolineato anche oggi. Anzi soprattutto oggi. Il suo scopo è quello di farci entrare, giorno dopo giorno, sempre di più come reali protagonisti nel Vangelo. Ci chiede di vivere il Vangelo. Oggi ha voluto, con pazienza e amore spiegarci cosa significa essere misericordiosi gli uni verso gli altri. La strada da seguire per realizzare ciò, egli ci dice, è quella che ci ha indicato lo stesso Gesù. Nel momento in cui compie i due gesti, cioè quello di porre le sue dita negli orecchi e con la saliva toccare la lingua del sordomuto, vuole spronarci ad aprirci agli altri e al mondo. Ci sta invitando a realizzare in noi il miracolo della doppia guarigione: quella dalla malattia ma soprattutto quella dalla paura. Il nostro essere cristiani ci deve stimolare sempre ad andare oltre noi stessi, a vedere e cercare negli altri il nostro prossimo. Vedere e cercare il nostro prossimo, si ma dove? In particolare negli ammalati e nei sofferenti. Sono proprio loro le categorie di persone che dobbiamo amare di più, e che non dobbiamo mai considerare come un problema. Grazie a loro possiamo metterci sul giusto cammino, cioè quello di vivere, non da egoisti ma, da persone con un cuore generoso ed aperto. La strada ci è stata indicata, ora tocca a noi far entrare nelle nostre esistenze un po’ di Amore in più. Un Amore che dobbiamo condividere e donare, attraverso le piccole azioni che ogni giorno compiamo.
IL PAPA:
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di questa domenica (cfr Mc7,31-37) riferisce l’episodio della guarigione miracolosa di un sordomuto, operata da Gesù. Gli portarono un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. Egli, invece, compie su di lui diversi gesti: prima di tutto lo condusse in disparte lontano dalla folla. In questa occasione, come in altre, Gesù agisce sempre con discrezione. Non vuole fare colpo sulla gente, Lui non è alla ricerca della popolarità o del successo, ma desidera soltanto fare del bene alle persone. Con questo atteggiamento, Egli ci insegna che il bene va compiuto senza clamori, senza ostentazione, senza “far suonare la tromba”. Va compiuto in silenzio.
Quando si trovò in disparte, Gesù mise le dita nelle orecchie del sordomuto e con la saliva gli toccò la lingua. Questo gesto rimanda all’Incarnazione. Il Figlio di Dio è un uomo inserito nella realtà umana: si è fatto uomo, pertanto può comprendere la condizione penosa di un altro uomo e interviene con un gesto nel quale è coinvolta la propria umanità. Al tempo stesso, Gesù vuol far capire che il miracolo avviene a motivo della sua unione con il Padre: per questo, alzò lo sguardo al cielo. Poi emise un sospiro e pronunciò la parola risolutiva: «Effatà», che significa “Apriti”. E subito l’uomo venne sanato: gli si aprirono gli orecchi, gli si sciolse la lingua. La guarigione fu per lui un’«apertura» agli altri e al mondo.
Questo racconto del Vangelo sottolinea l’esigenza di una duplice guarigione. Innanzitutto la guarigione dalla malattia e dalla sofferenza fisica, per restituire la salute del corpo; anche se questa finalità non è completamente raggiungibile nell’orizzonte terreno, nonostante tanti sforzi della scienza e della medicina. Ma c’è una seconda guarigione, forse più difficile, ed è la guarigione dalla paura. La guarigione dalla paura che ci spinge ad emarginare l’ammalato, ad emarginare il sofferente, il disabile. E ci sono molti modi di emarginare, anche con una pseudo pietà o con la rimozione del problema; si resta sordi e muti di fronte ai dolori delle persone segnate da malattie, angosce e difficoltà. Troppe volte l’ammalato e il sofferente diventano un problema, mentre dovrebbero essere occasione per manifestare la sollecitudine e la solidarietà di una società nei confronti dei più deboli.
Gesù ci ha svelato il segreto di un miracolo che possiamo ripetere anche noi, diventando protagonisti dell’«Effatà», di quella parola “Apriti” con la quale Egli ha ridato la parola e l’udito al sordomuto. Si tratta di aprirci alle necessità dei nostri fratelli sofferenti e bisognosi di aiuto, rifuggendo l’egoismo e la chiusura del cuore. È proprio il cuore, cioè il nucleo profondo della persona, che Gesù è venuto ad «aprire», a liberare, per renderci capaci di vivere pienamente la relazione con Dio e con gli altri. Egli si è fatto uomo perché l’uomo, reso interiormente sordo e muto dal peccato, possa ascoltare la voce di Dio, la voce dell’Amore che parla al suo cuore, e così impari a parlare a sua volta il linguaggio dell’amore, traducendolo in gesti di generosità e di donazione di sé.
Maria, Colei che si è totalmente «aperta» all’amore del Signore, ci ottenga di sperimentare ogni giorno, nella fede, il miracolo dell’«Effatà», per vivere in comunione con Dio e con i fratelli.