Patrizia Baratto: il counseling, una bussola nelle crisi della vita

Il counselor è la figura chiave nell'epoca del rumore e della velocità, quando il bisogno di essere ascoltati in profondità per ritrovare fiducia in se stessi, utilizzando le proprie risorse, diventa di particolare importanza. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Patrizia Baratto in un’intervista che spiega cosa sia e a cosa serva il counseling.

La dottoressa Patrizia Baratto, già mediatrice familiare è abilitata alla professione di counselor sistemico relazionale grazie ad un articolato corso di specializzazione di durata triennale. Il requisito del possesso del diploma di laurea è, da circa due anni, indispensabile. L’intervista che ha concesso alla nostra redazione, ci aiuta proprio a comprendere l’attività di counseling per conoscerne gli aspetti principali e gli ambiti di applicazione. Questa professione è ancora poco conosciuta, ma espressione dell’applicazione di un metodo profondamente trasformativo. Come  spiega la dottoressa, è ciò che può aiutare a supportare chiunque abbia difficoltà a gestire momenti o situazioni delicate della propria vita.

Dottoressa Baratto, partiamo dall’inizio: cos’è il counseling?

Il counseling è una relazione di aiuto. È un percorso che si sviluppa tra il counselor – colui che accompagna – e la persona che vive un momento di blocco, confusione o cambiamento e che desidera di ritrovare la propria direzione. A differenza della psicologia clinica o della psicoterapia, il counseling non tratta patologie o disturbi mentali. Non si occupa, ad esempio, di depressioni gravi o disturbi di personalità, che richiedono un intervento medico. Il counseling lavora, invece, su ciò che nella vita quotidiana può apparire come un ostacolo, un dolore o un momento di crisi, ma che fa parte del ciclo naturale dell’esistenza.

Può fare qualche esempio concreto?

Certo. La sindrome del “nido vuoto” può aiutare a capire. Sto parlando del caso in cui i figli escono di casa e il genitore – spesso la madre – si sente improvvisamente svuotata. Oppure la fine di una relazione, la perdita del lavoro, come pure un conflitto familiare. Sono tutte situazioni che non sono patologiche, ma che possono destabilizzare profondamente. Il counseling lavora qui, nell’hic et nunc, nel “qui e ora” della persona, aiutandola a ricontattare le proprie risorse interiori e ad affrontare nel presente il cambiamento.

In che modo il counselor aiuta concretamente la persona?

Il nostro ruolo non è direttivo, ma accompagna la persona in un processo di consapevolezza, affinché sia lei stessa a trovare le sue risposte, senza dare consigli o soluzioni preconfezionate. Se l’obiettivo è già chiaro, lavoriamo per sostenerlo e raggiungerlo. Se invece c’è solo una sensazione di blocco o di smarrimento, aiutiamo a fare chiarezza, a definire un obiettivo, a riconoscere le emozioni che stanno emergendo. E spesso quelle emozioni sono proprio la chiave del cambiamento.

Le emozioni quindi sono centrali nel percorso?

Sono fondamentali. Spesso tendiamo a scacciare quelle che chiamiamo “emozioni negative” come la tristezza, la rabbia o la paura. Ma, sono proprio queste a indicarci dove dobbiamo guardare. Il counseling insegna proprio a stare nelle emozioni e a non evitarle.

In altre parole?

Il counseling fa si che si possano trovare gli strumenti giusti affinché si arrivi con tranquillità, ancora per fare un esempio, al punto di chiedersi perché in certo momento ci si sente tristi e, quindi, a domandarsi cosa ci sia sotto questa tristezza. Ed ecco che scoprire che dietro c’è una paura, altre volte una rabbia non riconosciuta, diventa fondamentale per produrre in se stessi un cambiamento. Quando impariamo ad ascoltare queste emozioni e a non giudicarle, iniziamo davvero a conoscerci e a trasformarci”.

Ma come è nata la sua esperienza nel counseling?

Cinque anni fa ho attraversato un momento difficile: sentivo che dovevo “ricomporre dei pezzi”. Ho iniziato così il percorso prima di tutto per me, come crescita personale. Poi, ho scoperto la forza e la bellezza di questo approccio e ho deciso di diventare counselor per accompagnare anche altri nel loro cammino. Oggi sento quanto questo lavoro sia profondamente connesso alla mia storia, ma anche quanto esso rappresenti un servizio per gli altri “.

Quali sono gli strumenti principali che un counselor utilizza?

Il primo strumento siamo noi stessi. La nostra capacità di ascolto, la presenza, l’empatia. Ma attenzione: non un’empatia generica. L’empatia professionale è la capacità di metterci nei panni dell’altro come se

fossimo al suo posto – questo “come se” è fondamentale – senza però perdere il nostro centro. Guardiamo il mondo con i suoi occhi, si, ma restiamo presenti a noi stessi per poter essere davvero d’aiuto.

Cosa significa essere presenti a noi stessi?

Significa essere puliti interiormente. Un counselor deve fare un continuo lavoro su di sé. Molte situazioni che sono portate alla nostra attenzione possono toccare corde che abbiamo vissuto anche noi. Se non abbiamo chiuso i nostri “cerchi”, ovvero, se non abbiamo elaborato certe ferite, rischiamo di reagire nei confronti di chi abbiamo di fronte invece che di accompagnarlo. Per questo la nostra formazione non finisce mai. Il nostro lavoro è anche un cammino personale.

Oltre all’empatia, quali altre tecniche lei usa?

Quelle proprie del Counselor come l’ascolto attivo, la riformulazione, le domande maieutiche, cioè quelle mirate a trovare in se stessi la verità. Sono, insomma, tutti strumenti che servono a far emergere ciò che la persona già possiede dentro di sé. Io non aggiungo nulla, ma aiuto a far venire alla luce ciò che c’è, magari che sia coperto da paura, da stanchezza, abitudini e condizionamenti. È un po’ come aiutare qualcuno a rimuovere la polvere da uno specchio: l’immagine è già lì, ma va resa visibile.

In rete si legge che una delle finalità principali del counseling sia anche quella di promuovere l’empowerment della persona: ci spiega meglio di cosa si tratta?

È un modo un pò più tecnico per definire l’attività di counseling. Empowerment è, come le dicevo prima, proprio l’insieme delle azioni che il counselor utilizza per accompagnare una persona in un percorso di consapevolezza e di crescita così da renderla progressivamente autonoma, capace di affrontare le proprie sfide e di valorizzare le risorse già presenti in sé. Lo ribadisco: il counselor non offre soluzioni preconfezionate, ma aiuta l’individuo a riconoscere e utilizzare le proprie capacità, potenzialità e strumenti interiori.

Cosa direbbe a chi non conosce il counseling, ma sente di avere bisogno di qualcosa?

Direi che non bisogna avere una diagnosi per cercare aiuto. Se si sente un disagio, un peso, una difficoltà a capire dove si sta andando, si può iniziare un percorso di counseling. È uno spazio protetto, senza giudizio, dove è possibile ritrovare se stessi. E, a volte, è proprio in quel piccolo spazio che ricomincia la vita.

Un’ultima domanda: ci sono contesti o settori specifici in cui il counseling può essere d’aiuto?

Il counseling trova oggi applicazione in numerosi ambiti. Nel settore sanitario, si è affermato come strumento complementare nella relazione con il paziente, promuovendo ascolto empatico e comunicazione efficace. L’ambito scolastico ha visto una crescente richiesta di interventi di counseling, in particolare come risposta al dilagare di fenomeni come il bullismo, offrendo agli studenti uno spazio protetto di ascolto e orientamento. Non meno rilevante è l’impiego del counseling in contesti aziendali, dove si rivela utile per gestire e prevenire i conflitti, migliorare le dinamiche relazionali tra colleghi, e favorire un clima lavorativo più sereno e produttivo. In un mondo in cui le tensioni nei diversi contesti sociali e professionali sono sempre più frequenti, il counseling si conferma una risorsa preziosa, concreta e trasversale.

Grazie alle parole esaustive della dottoressa Baratto possiamo affermare che la figura del counselor risulta essere più familiare. Questa maggiore conoscenza aiuta anche a individuare e a riconoscere le persone abilitate a questa professione e a evitare individui che speculano e ingannano persone in difficoltà.