Per la consueta rubrica domenicale “Spiccioli di spiritualità” diretta dal prof. P. Vitale, il prof. Michele Pugliese ci parla di Sant’Antonio.
Secondo un recente sondaggio effettuato da Swg per Famiglia Cristiana il 70% degli italiani invoca i santi in varie circostanze. Spopola tra i credenti, al primo posto, San Pio di Pietrelcina, ma al secondo posto troviamo Sant’Antonio di Padova, di cui ci occuperemo oggi. Ma forse non tutti sanno che non era italiano, non si chiamava Antonio e, all’inizio della sua vita religiosa, non era nemmeno francescano.
Ma andiamo per ordine. Il nome originario del santo era Fernando Bulhao, nato a Lisbona nel 1195 da una nobile famiglia. Appena quindicenne venne accolto tra i canonici regolari agostiniani di Lisbona. I quindici anni a quell’epoca erano per i nobili quelli in cui o ci si avviava alle armi o si entrava in un ordine religioso, insomma quelli della maggiore età per l’epoca. Considerando che si dice fosse il primogenito, una condizione privilegiata per raccogliere l’eredità paterna, il fatto che fosse entrato in un ordine religioso ci fa pensare a una sua ferma volontà in tal senso, anche in contrasto con la volontà paterna. Che ci fosse un contrasto con la famiglia sembra essere confermato anche dal fatto che il padre gli mandò frequenti visite di amici e parenti con lo scopo di distoglierlo dallo studio e dalla preghiera. Per evitare queste tentazioni il giovane Fernando si fece trasferire in un’altra casa agostiniana, Santa Croce di Coimbra, centro intellettuale di grande prestigio, dove rimase per circa due anni. Qui insegnavano professori di chiara fama, vi era una invidiabile biblioteca, e il giovane Fernando poté costruirsi una solida base culturale, soprattutto in campo biblico. Tutto bene per gli studi, ma la vita spirituale di Santa Croce non lo soddisfaceva: era un monastero troppo ricco, male amministrato e turbato anche da episodi di corruzione.
Ma nei pressi di Coimbra, nel 1217, si erano stabiliti anche i frati minori del nascente movimento di San Francesco di Assisi, che in quel periodo stava avendo grande espansione e, quando Fernando venne a conoscenza del movimento francescano, si fece descrivere il genere di vita di San Francesco e dei suoi fratelli.
Ci fu però un episodio che turbò molto l’animo di Fernando: cinque frati francescani si erano recati in missione in Marocco tra i musulmani ma, meno di un anno dopo, vennero restituiti i loro cadaveri per essere seppelliti proprio a Santa Croce. Il confronto di Fernando con i francescani, e l’episodio di questi primi martiri francescani, fecero maturare in lui il proposito di lasciare l’ordine agostiniano per farsi frate minore di San Francesco. Ciò avvenne nel 1220 e, come d’uso ancora oggi in molte congregazioni, Fernando assunse il nome di Antonio, e decise di partire missionario per il Marocco, ma colpito da malaria, fu costretto a fare subito ritorno in patria. Senonché – quando si dice il destino – durante il viaggio di ritorno, una tempesta spinse la nave sulla costa della Sicilia orientale. Qui apprese dai confratelli messinesi che San Francesco stava convocando i frati ad Assisi per un capitolo generale e decise di recarsi nella città umbra per incontrare personalmente San Francesco. Dopo il capitolo fu destinato all’eremo di Montepaolo, sulle colline di Forlì. Sembra che quasi per caso gli capitò di predicare proprio nella cattedrale di Forlì, e fu tale l’impressione provocata dalla sua spontanea eloquenza, nutrita anche dai solidi studi che aveva fatto a Coimbra, che di colpo divenne famoso per la sua arte oratoria, e da quel momento la sua attività di predicatore fu il tratto straordinario della sua vita.
Dopo alterne vicende, che lo vedranno anche ministro provinciale francescano per l’Italia settentrionale, nella quaresima del 1228 giunse a Padova, che da allora divenne la sua residenza preferita, pur spostandosi spesso per la sua attività di predicatore. Qui cominciò anche la sua proficua attività di scrittore, ma era solito ritirarsi sempre più spesso fuori città, a Camposampiero, dove amava sostare in preghiera presso un grande albero di noce e lì fu visto miracolosamente cullare tra le braccia il Bambino Gesù, per cui oggi non c’è immagine sacra che non lo ritragga con il bambino in braccio. Ma fu proprio a Camposampiero che il 13 giugno 1231 lo colse un malore che lo condusse in poche ore ad abbracciare definitivamente quel bambino Gesù a cui era tanto affezionato.
L’arca di marmo nella quale fu deposto divenne immediatamente meta di continui pellegrinaggi, che non si sono mai arrestati nel tempo fino ai giorni nostri e in occasione dei quali si sono registrati vari miracoli. Acclamato santo a furor di popolo, ad appena un mese dal trapasso, Antonio fu canonizzato nella cattedrale di Spoleto il giorno della Pentecoste del 1232 in presenza di Papa Gregorio IX. Quindi, una trentina d’anni dopo, il suo corpo ricevette definitiva dimora nel santuario di Padova, oggi famoso in tutto il mondo.
Nel 1946 Pio XII annoverò sant’Antonio tra i dottori della chiesa conferendogli il titolo di “doctor evangelicus”, considerando la sua ferma adesione al vangelo nel tessuto delle sue prediche. È un santo che unisce a una elevata cultura in campo teologico una spiccata dimensione di religiosità popolare, la cui devozione si fonda nella capacità di intercessione per i bisogni della vita. E mi si permetta di notare come la cosiddetta “catena di sant’Antonio”, cioè una lettera che veniva recapitata prima dell’era web con tanto di francobollo, con preghiere e intercessioni, e con l’invito di farne almeno 10 copie da rispedire a parenti e amici, anticipava in qualche modo la diffusione virale di certi contenuti che avvengono oggi tramite i moderni social, a testimonianza della sua grande popolarità tra i fedeli.
In ogni caso il santo unisce i due aspetti fondamentali del cristianesimo, quello intellettuale e quello popolare e del resto lui stesso recita nei Sermones: “Qui, in terra, l’occhio dell’anima è l’amore, il solo valido a superare ogni velo. Dove l’intelletto s’arresta, procede l’amore che con il suo calore porta all’unione con Dio”.
