Giovanni Tariello, l’artista che fece dell’arte un solco nella terra (e nella memoria)

Da Castel Morrone all’Europa: il viaggio di un artista che ha unito radici contadine e linguaggi contemporanei

Conosco Giovanni Tariello da tanto tempo. Per me è sempre stato un punto di riferimento per l’arte nella nostra città, fin da quando nei luoghi più comuni e apparentemente lontani dalla scena culturale – come Castel Morrone – realizzava performance che lasciavano il segno. Lo ricordo nelle sue azioni collettive, nei laboratori con i bambini, nei gesti che parlavano di terra, memoria e dignità. E poi, lontano da qui, in Francia, dove il suo lavoro “Il lavoro sul lavoro”, è stato – e lo è ancora oggi – un segno distintivo fortissimo di cosa significhi essere arte, e non solo farla.Il nuovo catalogo “Giovanni Tariello e gli anni ’70. Castel Morrone nel panorama artistico nazionale”, edito da Terre Blu, racconta quel decennio speciale in cui l’arte non stava solo nei musei, ma nelle piazze, nei campi, nelle case, tra la gente.

Il solco rosso: quando un aratro diventa arte

Era il 1975. A Caserta si celebrava il Festival dell’Unità. Nei giardini della Reggia, Giovanni Tariello tracciò un lungo solco rosso, attraversando simbolicamente il mondo. Un happening concettuale, ma anche un atto d’amore per la sua terra. Con un aratro vero, di quelli usati nei campi, “squarciò” una grande mappa terrestre fatta di plastica e carta da giornale, mostrando ciò che stava sotto: la verità della terra.

“C’è un solco nella memoria. Una lunga linea tracciata tra i ricordi e le terre, una ferita, un vulnus che scorre tra i campi e la superficie della tela”, scrive il critico Enzo Battarra, restituendo la forza simbolica di quel gesto.

Per Enrico Crispolti, uno dei maggiori storici dell’arte italiana, Tariello rappresentava qualcosa di raro:

“Una capacità di restituire all’arte il senso del rito, della partecipazione. La sua azione è un’arte civile, che non vuole restare chiusa nei musei, ma cerca il contatto con la terra, con le mani e con la memoria.”

Una comunità intera dentro un’opera

Giovanni Tariello non lavorava da solo. Le sue opere coinvolgevano bambini, anziani, famiglie. La gente del paese diventava arte viva. Come in “La grande botta” (1978), dove si raccontava il mondo contadino con oggetti, canti, fotografie, danze, giochi popolari. Oppure in “La campana / ’U tizù”, dove il famoso gioco infantile diventava metafora della vita: un viaggio verso il cielo, con il sasso che salta da una casella all’altra come l’anima nel tempo.

Nel 1978, con “I 12 mesi”, Tariello portò per le strade di Castel Morrone unaprocessione laica fatta di asini addobbati, contadini in costume, canti, simboli e storie: il tempo diventava teatro.

“Il sogno americano diventa il sogno morronese. Il sogno di un popolo. Dove tutti sono personaggi e protagonisti della scena”, aggiunge Enzo Battarra con una frase che sembra una dichiarazione di poetica.

Un’eredità che oggi parla ancora

Giovanni Tariello non cercava fama. Eppure, il suo modo di fare arte anticipava temi che oggi ci interrogano: la sostenibilità, l’identità locale, la relazione tra uomo e natura, l’arte come partecipazione. I suoi lavori non erano pensati per essere venduti o appesi a una parete: vivevano nei volti, nei gesti, nei racconti.

E Castel Morrone, quel piccolo paese che molti non saprebbero nemmeno collocare sulla mappa, diventava, per qualche anno, un centro propulsivo di avanguardia, visitato da critici, artisti, registi, studiosi.

Anche Toni Servillo, in una testimonianza del 1998, ha raccontato con rispetto il proprio incontro con l’opera di Tariello:

“Mi ha fatto capire che si può essere significativi col proprio segno, proprio nel momento in cui ci si separa dall’attualità.”

L’arte come semina

Oggi, il catalogo Terre Blu non è solo un omaggio: è un invito a riscoprire un Sud che ha saputo creare, innovare, stupire. A ricordarci che l’arte vera nasce dal bisogno di dire qualcosa, di lasciare un segno, anche solo tracciando un solco.

Perché da lì, anche nel cuore dell’inverno, può nascere una nuova primavera.