Spiccioli di spiritualità, morti assurde e riflessioni spirituali

A cura di Michele Pugliese

Per il numero domenicale “Spiccioli di spiritualità” diretta dal prof. P. Vitale, il prof. Michele Pugliese ci parla di morti assurde e spiritualità.

Questa è la storia (assurda) di un calciatore portoghese, di nome Diogo Jota. Una decina di giorni fa aveva scritto sui social: “Sono un uomo fortunato”. In effetti si era appena sposato con la madre dei suoi tre figli; in questa stagione aveva vinto il campionato inglese e una coppa europea con la nazionale. Poi è stato costretto a prendere un’auto a noleggio perché, a causa di un recente intervento chirurgico, non poteva prendere l’aereo. Pare che durante un sorpasso sia scoppiata una gomma. L’auto ha preso fuoco e il calciatore è morto tragicamente.

Anche Luigi Meroni, promettente talento del calcio italiano degli anni Sessanta, morì in giovane età: aveva solo 24 anni. Era appena terminata una partita tra il Torino, squadra in cui giocava, e la Sampdoria, quando fu investito da un’automobile mentre attraversava corso Re Umberto, a Torino.

Rino Gaetano, celebre cantautore degli anni Settanta, le cui (bellissime) canzoni si ascoltano ancora oggi, perse la vita in un tragico incidente stradale il 2 giugno 1981. Si disse che a causarne la morte fu anche la mancanza di posti letto negli ospedali di Roma — proprio ciò che lui aveva denunciato anni prima nella canzone La ballata di Renzo. Chissà quante altre meravigliose canzoni ci avrebbe lasciato. Stessa tragica sorte per un altro grande della musica, Fred Buscaglione, morto anche lui in un incidente stradale, il 3 febbraio 1960.

Mi fermo qui. L’elenco di persone destinate a una carriera luminosa in diversi ambiti, la cui vita è stata tragicamente stroncata, potrebbe continuare a lungo. E questo ci fa riflettere sul problema della morte, o meglio della morte improvvisa.

Al di là dei gesti apotropaici di alcuni lettori (su cui pure ci sarebbe da riflettere, perché tendono simbolicamente ad allontanare la morte ed esaltare la vita), il tema della morte è centrale in tutte le religioni. Anzi, si può dire che le religioni nascono proprio con l’intento di superare il limite di una vita caduca e fragile, che senza una speranza nell’aldilà mostrerebbe tutta la sua assurdità.

Certo, per l’uomo antico era più facile credere in un’esistenza dopo la morte, poiché la morte faceva parte del suo vissuto quotidiano: si moriva per parto, morivano i bambini in tenera età, si moriva per epidemie, guerre, fame, malattie, ecc. Oggi, con il progresso della medicina e dell’igiene, abbiamo in parte sconfitto la morte precoce — non del tutto e non in tutto il mondo — ma, nel contempo, l’abbiamo allontanata dalla vita quotidiana, relegandola negli ospedali e negli ospizi, mentre esaltiamo il mito del corpo perfetto, magari con l’aiuto della chirurgia plastica.

Ma, sebbene l’abbiamo rimossa, la morte ritorna, prima o poi: per malattie cosiddette incurabili o per eventi tragici come quelli raccontati. Fanno notizia perché coinvolgono personaggi famosi, ma non possiamo dimenticare i tantissimi casi anonimi che avvengono ogni giorno.

Ecco perché le religioni hanno avuto e continuano ad avere un senso: sono nate per affrontare questo problema. Tuttavia, anche le religioni oggi sembrano ridotte a puro tradizionalismo, senso di appartenenza, quando non addirittura a folklore o business. Sembrano aver perso il loro afflato originario verso l’eternità.

Tutte, però, in forme diverse, credono in una prosecuzione della vita dopo la morte: la vita eterna o la salvezza per i cristiani, akhirah per i musulmani, olam ha’ba (il mondo che verrà) per l’ebraismo, il ciclo continuo di nascita, morte e rinascita (samsara) per il buddhismo e per l’induismo, e così via. Tutte credono che questo “luogo” sarà migliore o peggiore a seconda delle azioni compiute nella vita terrena.

E allora, forse dovremmo tornare a pensare alle religioni come a un tentativo, imperfetto ma prezioso, di dare senso al grande mistero della morte. Non ci daranno mai una soluzione definitiva, perché l’uomo è fatto per la vita e la morte appare come una sconfitta. Ma, poiché essa ritorna sempre nella nostra esistenza, forse esse possono aiutarci almeno a riflettere.

Concludo citando e parafrasando liberamente il Salmo 90 della Bibbia:

“Signore, tu sei un rifugio per noi di generazione in generazione.

Prima che nascessero i mondi, da sempre e per sempre tu eri.

Tu fai ritornare l’uomo in polvere e ai tuoi occhi mille anni sono come il giorno di ieri che è passato,

come l’erba che germoglia al mattino e alla sera è falciata e dissecca.

Finiamo i nostri giorni come un soffio.

Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti,

ma quasi tutti sono fatica e dolore.

Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore.

Saziaci al mattino con la tua grazia: esulteremo per tutti i nostri giorni.

Rendici la gioia per i giorni di afflizione.

Sia su di noi la tua bontà, rafforza l’opera delle nostre mani”.

E — questo lo aggiungo io — donaci la gioia di riconoscere il tuo amore anche negli episodi tragici della vita, e la sapienza di saperli leggere alla luce del tuo volto.