Il carcere italiano sta vivendo la crisi più grave della sua storia recente. Oggi abbiamo oltre 133% di sovraffollamento medio, ma in alcuni istituti si arriva al 220% a San Vittore, al 212% a Foggia, al 205% a Lucca, al 201% a Brescia e Lecce. Siamo vicinissimi alla soglia dei 66.000 detenuti che nel
2013 ci costò la condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza Torreggiani.
L’Italia è terza in Europa per sovraffollamento, dopo Cipro e Francia. E mentre i numeri esplodono, esplodono anche i suicidi in carcere e la disperazione di chi ci lavora tutti i giorni: agenti di polizia penitenziaria, educatori, personale sanitario che non basta mai.
Anche il carcere minorile è al collasso: da 385 ragazzi detenuti nel maggio 2023 siamo passati a 1.033 a novembre 2025. Manca tutto: psicologi, mediatori culturali, psichiatri, posti letto dignitosi. La salute è un diritto che non può avere cittadini di serie B.
Nel 1992 riformammo l’articolo 79 della Costituzione alzando il quorum a due terzi per amnistia e indulto, convinti che la politica, non potendo più “svuotare” le carceri con un colpo di spugna, avrebbe finalmente fatto le riforme strutturali. E successo esattamente il contrario: dal 2006 non c’è Stato più nessun indulto, nemmeno in occasioni storiche di coesione nazionale come i Giubilei o l’elezione del Presidente della Repubblica.
Abbiamo perso uno strumento di pacificazione sociale e non abbiamo guadagnato niente in cambio Il 31 dicembre 2024 Papa Francesco ha aperto la Porta Santa proprio nel carcere di Rebibbia e ha parlato chiaro: «Propongo ai governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza: forme di amnistia o di condono della pena, percorsi di reinserimento». È un appello diretto, forte, che arriva dritto al cuore di questo Anno Santo della speranza.Non possiamo più aspettare il “Piano carceri” che richiede anni e miliardi. La Corte dei conti ce l’ha detto a maggio 2025: nuovi edifici non possono essere l’unica strada. Serve agire subito.
Per questo, noi Conferenza Nazionale dei Garanti Territoriali e delle persone privata della libertà personale, chiediamo al Parlamento e al Governo un intervento immediato e concreto: una legge ordinaria deflattiva, come quelle che nel 2003 e nel 2010 (governo Berlusconi, ministro Alfano) hanno consentito a migliaia di persone con pene residue brevi di tornare in libertà o di accedere subito a misure alternative oppure la liberazione anticipata speciale: portare la riduzione di pena da 45 a 75 giorni ogni semestre, con procedure velocissime, come facemmo dopo la sentenza
Torreggiani per uscire dall’emergenza; il numero chiuso reale nelle carceri: non si può più far entrare un detenuto se non c’è un posto letto dignitoso. Lo chiede l’Europa, lo ha appena fatto un tribunale tedesco che ha bloccato una consegna per le condizioni delle nostre prigioni.
E poi, a medio termine, serve il coraggio di rivedere l’articolo 4-bis, la recidiva, le norme che obbligano il giudice a mettere in carcere anche quando non ce n’è bisogno, la pioggia di nuovi reati solo detentivi che continuiamo a creare senza aumentare la sicurezza di nessuno.
In Italia ci sono circa 8.000 detenuti con meno di un anno da scontare, 3.000 con meno di la brevità della pena residua.
sei mesi. Allora ci chiediamo perché queste persone siano ancora in carcere, nonostante Oggi il carcere italiano non è più solo privazione della libertà: è privazione di diritti dentro la dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Privazione della libertà. E una quotidiana violazione dell’articolo 27 della nostra Costituzione e Non c e più tempo. Non possiamo più assistere in silenzio a questa strage di vite e di dignità.
Il Papa ci ha chiesto speranza e clemenza per questo Giubileo Noi la chiediamo insieme a Samuele Ciambriello ,Portavoce Nazionale della Conferenza dei Garanti Territoriali e Garante Nazionale delle persone private della libertà personale.
Qual è lo stato attuale del sovraffollamento nelle carceri campane, con oltre 7.600 detenuti a fronte di circa 5.500 posti disponibili, e quali misure immediate propone per affrontarlo?
Il sovraffollamento nelle carceri campane ha ormai assunto i contorni di un’emergenza strutturale e non più gestibile con interventi ordinari. A fronte di una capienza regolamentare di circa 5.500 posti, ospitiamo oltre 7.600 persone detenute, con istituti che superano stabilmente il 140% di affollamento. Questa condizione compromette la dignità delle persone recluse, rende inefficace ogni percorso trattamentale e mette in forte difficoltà il personale penitenziario. Le misure immediate devono essere pragmatiche: un uso più esteso delle misure alternative alla detenzione per i reati minori, l’ampliamento dell’esecuzione penale esterna, la detenzione domiciliare per fine pena breve e per soggetti fragili, nonché una riduzione del ricorso alla custodia cautelare in carcere. Per superare il sovraffollamento si rende dunque urgente l’emanazione di una legge ordinaria che metta in campo risposte concrete, un intervento deflattivo diretto in particolar modo a coloro che hanno una pena residua di due anni o meno di un anno, riproponendo quanto fatto dal governo Berlusconi nel 2003 e 2010. Accanto a queste misure, ritengo non più rinviabile l’introduzione del principio del numero chiuso negli istituti penitenziari, secondo cui nessuna persona può essere ristretta in carcere in assenza di un posto effettivamente disponibile e conforme agli standard di dignità e abitabilità. Il numero chiuso non è una concessione ai detenuti, ma uno strumento di legalità e buona amministrazione che tutela l’intero sistema. Garantire un numero sostenibile di presenze significa migliorare concretamente le condizioni di lavoro della Polizia penitenziaria, oggi costretta a operare in contesti di continua emergenza, riducendo tensioni, rischi e stress operativo. Significa permettere agli educatori di svolgere un reale lavoro trattamentale, con percorsi individualizzati e non meramente formali. Significa, infine, consentire all’area sanitaria di assicurare cure adeguate, prevenzione e salute mentale, oggi fortemente compromesse dall’eccesso di presenze. Senza un limite strutturale agli ingressi, ogni riforma rischia di essere vanificata. Il numero chiuso rappresenta quindi una scelta di responsabilità verso i detenuti, gli operatori e la società, perché solo in un carcere non sovraffollato è possibile garantire sicurezza, diritti e una pena conforme alla Costituzione.
Come valuta l’aumento dei suicidi nelle prigioni della regione nel 2025, con almeno 76 casi registrati a livello nazionale e 6 in Campania, e quali interventi preventivi ritiene necessari per tutelare la salute mentale dei detenuti?
L’aumento dei suicidi in carcere è una sconfitta per lo Stato e per l’intero sistema penitenziario. I numeri del 2025 attestano tra i detenuti almeno 76 suicidi a livello nazionale e 6 in Campania. Degni di nota sono inoltre anche i suicidi tra chi ha il carcere come proprio luogo di lavoro: nell’ultimo anno si registra infatti il suicidio di tre agenti penitenziari, un educatore e un) ragioniere delle carceri. Questi numeri raccontano un disagio profondo che troppo spesso non viene intercettato in tempo. Il carcere continua a essere un luogo di sofferenza estrema, soprattutto per chi vive solitudine, fragilità psichica, dipendenze o fine pena lontana. Servono interventi strutturali e non emergenziali: rafforzare i servizi di salute mentale all’interno degli istituti, garantire una presenza stabile di psicologi, psichiatri e tecnici della riabilitazione psichiatrica, formare adeguatamente il personale di polizia penitenziaria alla prevenzione del rischio suicidario e migliorare l’accoglienza dei nuovi giunti. Sono stato un grande sostenitore della riforma della sanità penitenziaria del 2008 che ha affidato alle Aziende Sanitarie Locali la gestione di tale tematica, ponendo così simbolicamente e fattivamente sullo stesso piano il diritto alla salute (e alla salute mentale) della persona libera e di quella privata della libertà. Sono al contempo consapevole dei limiti attuativi e gestionali della suddetta riforma che necessita, nel rapporto tra ASL e Amministrazione Penitenziaria, di una più chiara definizione dei rispettivi ruoli e responsabilità, inserite all’interno di un clima di cooperazione. Rimane centrale, anche all’interno di questo contesto, il tema del sovraffollamento: le condizioni detentive degradanti, che ne sono necessaria conseguenza, si pongono come miccia che genera, slatentizza o acuisce disagi psichici profondi, quali disturbi dell’umore, d’ansia, disturbi della personalità o psicosi.
Quali sono i principali problemi strutturali e di leadership nelle strutture penitenziarie come Poggioreale, Santa Maria Capua Vetere e Sant’Angelo dei Lombardi, e come influiscono sulla gestione quotidiana?
Le principali criticità degli istituti penitenziari campani derivano da una combinazione di strutture obsolete, sovraffollamento cronico e gravi carenze di personale, soprattutto nell’area educativa e sanitaria. A queste si aggiunge una discontinuità nella governance e nella capacità di programmazione, che rende difficile affrontare i problemi in modo strutturale. A Poggioreale, il sovraffollamento estremo, le condizioni igienico-sanitarie precarie e i ritardi nella manutenzione ordinaria e straordinaria incidono pesantemente sulla vivibilità degli spazi e sulla possibilità di garantire cure e interventi sociali adeguati. Sono infatti presenti, nella Casa Circondariale, celle che ospitano fino a 9 o 10 detenuti in pochi metri quadrati, organizzate in gruppi di tre brande sovrapposte, in cui l’ultima è a soli due metri da terra. E’ una situazione indegna, uno scandalo per un paese civile. A Santa Maria Capua Vetere, oltre al sovraffollamento aggravato da sezioni inagibili da anni, pesano la carenza di personale, la promiscuità impropria di reparti e una presenza sanitaria insufficiente, in particolare sul fronte della salute mentale. A Sant’Angelo dei Lombardi, l’isolamento della sede e la mancanza di figure educative e socio-sanitarie compromettono seriamente i percorsi trattamentali e di reinserimento, nonostante le potenzialità lavorative. Queste condizioni producono un carcere sempre più orientato alla mera custodia, con poche attività, alta tensione interna e un progressivo indebolimento della funzione rieducativa, a danno dei detenuti e degli operatori che vi lavorano quotidianamente.
In che modo la crisi carceraria sta impattando sui minori detenuti in Campania, considerando i dati sui reati commessi e le condizioni di detenzione, e quali programmi di rieducazione suggerisce per loro?
La crisi che oggi investe il sistema penale minorile è il risultato di una logica sempre più carcerocentrica, che ha progressivamente spostato l’asse dell’intervento pubblico dalla prevenzione e dall’educazione alla risposta repressiva. Il carcere, che per i minori dovrebbe rappresentare l’extrema ratio, viene invece utilizzato con maggiore frequenza, producendo un aumento delle presenze negli Istituti penali minorili e introducendo anche in questo circuito il fenomeno, del tutto nuovo e preoccupante, del sovraffollamento.
In questo quadro, il Decreto Caivano ha inciso in modo significativo, determinando un incremento rapido e consistente dei minori detenuti, sia italiani sia stranieri non accompagnati. In poco meno di due anni le presenze negli IPM sono cresciute di quasi il 50%, senza che a ciò corrisponda un analogo aumento della criminalità minorile. Le conseguenze sono evidenti: maggiore compressione degli spazi educativi, difficoltà nel garantire percorsi individualizzati e un rafforzamento di una cultura della custodia a scapito della funzione rieducativa prevista dalla Costituzione.
I programmi di rieducazione devono invece tornare al centro. Per i minori è fondamentale garantire istruzione e formazione professionale, percorsi di inserimento lavorativo protetto, attività sportive e culturali, oltre a un sostegno psicologico continuativo. L’obiettivo non può essere la punizione fine a sé stessa, ma la costruzione di competenze, relazioni e prospettive concrete di vita alternativa, capaci di accompagnare il ragazzo fuori dal circuito penale e da quell’etichettamento che spesso si traduce in recidiva.
Alla base dei reati minorili vi sono disagi profondi: povertà educativa, famiglie fragili o assenti, contesti territoriali segnati da marginalità e criminalità organizzata, mancanza di modelli adulti credibili e di opportunità reali. Molti di questi ragazzi arrivano al reato già segnati da traumi, solitudine affettiva e bisogno di riconoscimento, che trovano risposta in modelli violenti e devianti.
Per questo la prevenzione deve diventare una priorità politica e sociale. Prevenzione significa presidiare scuole e quartieri, rafforzare i servizi sociali e le comunità educative, investire su educatori, psicologi e operatori del territorio, sostenere le famiglie prima che il disagio esploda in condotte penali. Solo così si può evitare che il carcere diventi la prima risposta e restituire al sistema minorile la sua funzione autentica: educare, accompagnare e offrire una seconda possibilità.
Quali riforme legislative o provvedimenti di clemenza, come quelli invocati dalla Conferenza dei Garanti, ritiene indispensabili per risolvere la crisi complessiva delle carceri campane e garantire il rispetto dei diritti umani?
La Conferenza nazionale Garanti, di cui sono Poetavoce,ha più volte richiamato il Parlamento e il Governo alla responsabilità di intervenire. Accanto ad una revisione del sistema delle pene, una depenalizzazione dei reati minori, una riforma della custodia cautelare e un ampliamento stabile delle misure alternative, diventa necessario un ragionamento che prenda in seria considerazione provvedimenti di clemenza, come misure di amnistia, o indulto per reati minori o pene residue brevi, rafforzando inoltre strumenti come la liberazione anticipata speciale. Nell’Anno del Giubileo, l’appello di Papa Francesco , ripreso da Papa Leone, a compiere gesti concreti di speranza verso le persone detenute interpella direttamente le istituzioni: ignorarlo significherebbe perdere un’occasione storica di umanizzazione della pena.